Ultim'ora

      Il Vulcano...
Schema Forza e Core Stability in casa... A seguire uno schema indicativo di circuiti per ...
STAGE in AL...
AeG - Sporting Studio di Consulenza Sportiva
Sport & Scienza
La BIOPOSIZIONE in BICI spiegata in due regole semplici semplici PDF Stampa E-mail

             

Quel maledetto dolore improvviso, che prima non c’era, uscito fuori non appena messo il sedere sul sellino della bici nuova...

Una vera disdetta, proprio ora che c’era da cominciare a divertirsi, col bolide nuovo e una voglia rinnovata di uscire all’aperto a sudare, dopo un lungo inverno passato al chiuso della palestra.

 Succede. Capita spesso che una volta cambiata bici qualcosa comincia a non funzionare, un risentimento muscolare, un dolorino alla schiena, il tendine del ginocchio che comincia ad infiammarsi: campanelli d’allarme del fatto che la posizione in bike non è perfetta, anzi va proprio sistemata.

Ecco allora che solitamente spuntano dal nulla decine di consiglieri, che propongono, in maniera gratuita, mille soluzioni diverse su come impostare la propria posizione in bici: attacco manubrio più lungo, arretramento sella più pronunciato, alzare o abbassare la sella e via di questo passo.

Solitamente i consiglieri più solerti sono i nostri abituali compagni di pedalata, molto spesso però seguaci di un fai-da-te che porta più confusione che certezze.

Vediamo qui se possibile di fare un po’ di chiarezza, di stabilire dei criteri di valutazione certi della posizione, che possano aiutare anche il biker più confuso ad avere delle certezze a cui affidarsi.

      

Curve dell'ANALISI della PEDALATA fatta con SRM 

Detto che un’analisi accurata presso un centro specializzato di biomeccanica resta l’approdo finale risolutivo, come quando si ha un malanno ci si rivolge dal medico e non dal consigliere improvvisato, qui noi cercheremo di stabilire criteri certi che possano confortare il ciclista in confusione.

                              

LA TAGLIA GIUSTA DELLA BICI

Per massimizzare i benefici dalle nostre uscite in bici, dovremo pedalare su un mezzo comodo e adatto a noi, se non proprio personalizzato, quanto meno adeguato alle nostre misure antropometriche.

Nel ciclismo moderno le biciclette sono standardizzate in tre grandi fasce, S, M e L: questo consente, apportando piccole modifiche ai componenti quali attacco del manubrio, lunghezza delle pedivelle e altezza della sella, di soddisfare qualsiasi esigenza.

Per orientarsi nell’acquisto di una bicicletta è sufficiente seguire alcune linee guida. L’atleta (uomo o donna) che abbia un’altezza inferiore ai 165 centimetri dovrà sicuramente optare per una taglia S di una qualsiasi marca. Da lì sino ai 180 centimetri sceglierà una taglia M. Per chi supera i 180 centimetri sarà opportuno scegliere una taglia L.

Se è vero che ogni marca ha le sue specifiche, millimetriche differenze, queste indicazioni valgono in generale per tutte le biciclette a misura standard reperibili sul mercato.

 

     LA GIUSTA POSIZIONE SULLA BICI

Se da una parte è importante acquistare una bicicletta della misura giusta, è ancora più importante però posizionarsi correttamente sulla stessa e il punto di partenza di tutto è l’analisi dell’assetto dei tre punti ove poggia il ciclista pedalando, ossia

a)      la sella, ove grava la maggior parte del peso del corpo;

b)      il manubrio, ove poggiano braccia e con esse la parte frontale del busto;

c)       i pedali, ove viene impressa la spinta delle gambe.

                      

La sella

A volte si manifesta come un piccolo bruciore sopra la coscia. Altre volte come una sensazione di impaccio nel pedalare, una sorta di pedalata forzata che sembra non essere efficace, non esprimere tutta la sua forza fino in fondo: la sella quando è troppo bassa dà sempre una sensazione di costrizione, che ti lascia intendere che il giro che fai fare al quadricipite è troppo corto.

E questo succede all’inizio, quando ancora non si manifestano problematiche più gravi, come per esempio l’infiammazione dei tendini rotulei delle ginocchia, che si verifica quando non si è dato ascolto ai primi campanelli di allarme e si è continuato a pedalare in posizione troppo bassa, dando di fatto il via a quel processo infiammatorio che poi rischia di diventare cronico e darci grattacapi anche per settimane e che comunque non si risolve finché non si è tolta alla radice la problematica che l’ha causato: ossia finché non si è alzata la sella all’altezza giusta.

Altre volte invece, quando la sella è troppo alta, il fastidio si manifesta sul polpaccio e si irradia al sottocoscia, lì ove senti una sorta di stiramento muscolare e tendineo, che ti dà la sensazione di non arrivare alla pedivella.

                                                 

Come fare allora per determinare la giusta altezza sella?

Si parte innanzitutto dalla misurazione dell’altezza del cavallo dell’atleta che pedala: potete posizionarvi scalzi a piedi leggermente divaricati (a 5-10 cm di distanza tra loro), con il busto eretto o con le spalle appoggiate a una parete. Inserite una livella tra le gambe e portatela in alto sino a toccare il perineo (in alternativa potete servirvi di un libro con copertina rigida: il lato più corto verrà appoggiato alla parete, e il dorso della copertina rivolto verso l’alto e portato a contatto del perineo).

Misurate la distanza verticale da terra al lato superiore della livella/libro: quello è il cavallo che va moltiplicato per 0,885 per determinare la giusta altezza sella della Mtb, per 0,887 per l’altezza della sella nella bici da strada.

                                   

                   

A questo punto per riportare questa altezza sul mezzo, va posizionato il metro a 12 centimetri dal bordo posteriore della sella (quindi all’incirca poco dietro la metà della sella, di fatto ove poggiano le ossa del bacino) e misurata la distanza in verticale tra quel punto e il bullone al centro della pedivella, ove si avvita al movimento di centro. Nel box dedicato trovate la distanza giusta già calcolata in base al vostro cavallo.

                  

Per regolare invece l’arretramento della sella, ossia la distanza tra la punta della stessa e l’asse centrale dei pedali, dovrete salire sulla bici, posizionarvi comodamente al centro della sella, appoggiarvi a una parete facendo ruotare i pedali indietro finché saranno entrambi paralleli al terreno (uno nella parte anteriore e l’altro nella posteriore della pedaliera) tenendo anche i piedi paralleli a terra. A questo punto fatevi aiutare da un’altra persona, che avrà il compito di far scendere un filo a piombo dalla parte anteriore della rotula della gamba che accompagna il pedale in posizione avanzata, sino al pedale. Così posizionati, se l’arretramento della sella sarà giusto, il filo a piombo che parte dalla punta del ginocchio e scende sul pedale dovrà passare esattamente sull’asse del pedale, quello che parte dalla pedivella e fa da punto di rotazione del pedale stesso.

                                         

Voi siete il motore della bici, i pedali sono l’albero motore, le vostre gambe i pistoni che dal motore vanno all’albero motore: questa posizione che avete appena preso (che arriva a descrivere un angolo acuto sotto al ginocchio, quindi tra femore e tibia di circa 145 gradi) è la più importante nella cinematica della pedalata, perché se posizioniamo i pistoni (le gambe) in maniera sbagliata, si rischia di mandare fuori fase il motore (l’atleta). Quindi solo dopo aver sistemato questa impostazione, si può passare alle altre, ossia la distanza sella-manubrio e la scelta del posizionamento della scarpa sul pedale.

 

Il manubrio

Un dolore ai muscoli paravertebrali, piuttosto che al collo, oppure un indolenzimento a tricipiti delle braccia o peggio ancora al polso sono sempre spia accesa di posizionamento errato del busto sulla bici: o si è troppo lunghi o troppo corti.

                                                     
 

Il biomeccanico per valutare questa distanza deve misurare la lunghezza del vostro busto, mettendovi seduti su una seggiola ed andando a rilevare la distanza tra il piano della seggiola e la mano distesa sopra la testa. Noi per semplificarvi la vita vi diamo una tabella di riferimento, ove semmai potrete andare a ridurre o aumentare di massimo 1,5 cm la distanza che vi proponiamo, ma l’approssimazione propostavi nella tabella vi metterà sicuramente a riparo da problemi di impostazione in questa distanza.

Non risulta valido invece l’approccio solitamente proposto da chi ci suggerisce che la distanza sella manubrio è giusta quando messi in posizione in sella dovete vedere il mozzo anteriore due centimetri davanti alla barra manubrio, perché quella posizione viene troppo influenzato dall’angolo del tubo sterzo e quindi dal rake della forcella.

Per quanto riguarda la larghezza da scegliere per il manubrio, considerate che nel cross-country gli atleti Pro’ usano barre manubrio “flat” anche da 58 centimetri per avere una guida snella e nervosa, mentre nell’uso tranquillo di un uscita rilassata potreste montare anche un manubrio “rizer” largo 65 centimetri, che garantisce una guida più facile e controllata. Di più  potrebbe essere sconsigliato se si pedala nel fitto dei boschi, ove il fogliame dei single-track più stretti potrebbe rischiare di agganciare gli estremi del manubrio e farvi cappottare. Ad ogni modo nello scegliere la larghezza del manubrio va valutata anche la singola larghezza delle spalle: un atleta mingherlino può permettersi di stare anche “stretto”, uno più possente deve necessariamente allargarsi oltre i 62 centimetri.

Infine parliamo del dislivello tra sella e manubrio, che riveste una funzione molto importante nella capacità di guida del biker. Ovviamente più alto si tiene il busto, migliore è la visuale di guida e la distribuzione del peso, che in questo modo tende ad essere orientato nel retrotreno. Quindi questo ci consente in discesa di non gravare troppo col peso sul manubrio e di avere quindi una guida più pulita ed efficace, ma ovviamente quando si tiene il busto alto, si tende però ad essere troppo poco aerodinamici nella guida ad alte velocità. Senza scendere troppo nelle motivazioni tecniche di una posizione piuttosto che l’altra, compito che spetta al biomeccanico che dispone di strumenti di misurazione scientifici per determinare il dislivello giusto, noi vi indichiamo nel box dedicato i range a cui attenersi, sapendo che minor dislivello garantisce una miglior guidabilità, mentre maggior dislivello permette una migliore penetrazione aerodinamica.

 

                     

 

Pedivelle, scarpe e pedali

Veniamo infine alla posizione della scarpa sul pedale.

Qui i dolorini tipici sono l’eccessivo surriscaldamento del piede o il formicolio vario, ma vi assicuriamo che questo tipo di problematiche non dipende quasi mai dal posizionamento della scarpa sul pedale, quanto invece dal modello di scarpe stesse che può non essere “gradito” dalla particolare conformazione del nostro piede. Se quindi il formicolio non deriva da alcuna infiammazione del nervo sciatico, che a volte giunge ad irradiarsi sin sotto alla pianta del piede, allora molto spesso la soluzione può essere semplicemente un cambio di scarpa, per un modello più comodo e adatto al nostro piede.

                                                        

Detto questo però riveste molta importanza il posizionamento della tacchetta sotto la suola che di fatto deve consentire che una volta che la scarpa è bloccata sul pedale dalla tacchetta agganciata, l’asse del pedale passi proprio sotto l’articolazione metatarso-falangea. Anche per questa impostazione sono stati protocollati dei metodi di individuazione della posizione giusta, come per esempio quello del posizionamento della pallina all’interno della scarpa.

Anche in questo caso noi vi proponiamo una soluzione veloce e sicura, dandovi una tabella di riferimento per valutare la vostra giusta posizione.

 

Senza pretendere di essere stati poi così tanto scientifici, abbiamo qui cercato di darvi un orientamento pratico e sicuro su come impostarvi sopra la vostra bici, in modo da non cedere più di tanto a consigli strampalati o quanto meno vi abbiamo cercato di fornire i riscontri giusti per avere certezze sul da farsi.

Ora tocca a voi: pedalare è bello sempre, ma se lo si fa nella posizione giusta e soprattutto senza dolorini fastidiosi, pedalare diventa un fantastico modo per esplicare la nostra gioia di vivere!

 


 
Ago '12 - Dalle OLIMPIADI di Londra: l'ATTIVAZIONE MENTALE nella prestazione sportiva PDF Stampa E-mail

                         

Ti dicono che l’Olimpiade è la gara più importante della vita di un atleta, ma tu la senti “una” gara, non “la” gara perché del resto se gareggi da una vita, hai imparato che ogni gara richiede la massima concentrazione, il gusto della fatica, una partecipazione emozionale di altissimo livello, anche se corri l’ultima delle competizioni regionali ove anzi, proprio in quelle hai tutto da perdere: se vinci, ti dicono che era scontato; se ti battono (perché certamente può succedere!) ti dicono che ti sei fatto battere da un avversario di basso livello. Ma alle Olimpiadi invece no, vada come vada, qualsiasi cosa succede è certamente importante e significativa, anche un piazzamento al tredicesimo posto come quello di Gerry, anche una medaglia di bronzo come quella di Fonzie. Anzi quella conta anche un po’ di più…

La testa dell’atleta maturo, dalla personalità formata ed equilibrata è settata alla competizione, non alle implicazioni che vi stanno intorno: per Marco e per Gerry era evidente che a Londra c’era un percorso di circa quattro chilometri con sassi e curve parboliche da ripetere più volte, nella maniera più veloce possibile, ma non il pubblico, le televisioni, la diretta, i giornalisti, tutte componenti che abbiamo visto noi, che hanno fatto da contorno, ma Marco e Gerry lì avevano una sola visuale: campo ristretto e concentrato in uno spazio largo circa 90 centimetri e lungo finché la vista arriva in avanti.

Credetemi non vi sto parlando per iperboli proponendovi una provocazione, vi sto semplicemente descrivendo quello che l’atleta maturo e determinato sa trarre da una competizione importante: il succo, l’obiettivo finale, la concretezza del risultato. Tutto il resto, il contorno non conta.

Se però tutto questo è stato vero per i nostri due ragazzi che a Londra hanno decisamente reso all’altezza del loro talento e hanno saputo farci essere orgogliosi di essere loro tifosi, l’Olimpiade per atleti meno dotati di personalità decisa diventa una tragedia.

Sì, il dramma delle aspettative, del contorno che frastorna, che distrae che ti schiaccia.

Chiedete per esempio ad Eva Lechner perché alle Olimpiadi ha resto molto al di sotto delle proprie capacità. Chiedetele perché la notte precedente ha dormito su un letto di chiodi e non su coltri accoglienti e riposanti. Chiedetele perché ogni volta che si trova di fronte ad un appuntamento che conta, puntualmente da leonessa torna pulcino.

Si chiama “livello di attivazione” quella componente psicologica che riguarda le competizioni sportive e dentro quella espressione tecnica racchiude parole molto più significative come adrenalina, grinta, emozione, attesa, ansia, fiducia, aspettativa…

Il campione da olimpiade naturalmente selezionato in anni di gare, scontri con avversari prima in regione, poi in giro per la sua nazione, poi in giro per il mondo, quando il cerchio si fa più stretto e non sono più ammessi punti deboli, ha un livello di attivazione naturalmente settato al punto giusto.

Non ci si può presentare alle gare troppo scarichi, perché poi il fisico non è pronto e predisposto alla battaglia. Ma non ci si può presentare neanche troppo attivi, carichi, “presi”, che al contrario in quel caso la competizione ti schiaccia, ti sovrasta, non riesci a godertela, non la superi.

Marco Aurelio Fontana anche in sede di intervista ha parlato di come aveva saputo preparare la corsa sotto ogni aspetto, anche soprattutto quello psicologico: la fidanzata di Marco è anche  psicologa ed è, ovviamente, la sua personal mental-trainer.

Gerry invece è uno “psicologo di sé stesso”: è nato campione, finto timido (perché dentro è una vera roccia, ma non vuol darlo a vedere) il nostro ragazzotto altoatesino sa da dove viene ma soprattutto dove può arrivare. Non ha aspettative troppo alte, non si costruisce castelli nella testa, ma con concretezza sa semplicemente contare sulle sue gambe che lo spingono naturalmente lì davanti e lì sa che può arrivare, quindi senza porsi limiti si aspetta da se stesso di essere di nuovo “lì” davanti dove sa benissimo che è il suo posto naturale.

Eva invece  non è la Spitz, olimpionica a Pechino, seconda a Londra: quando conta un po’ troppo la gara, Eva se ne fa schiacciare. Campionessa vera, dal carattere amabile e grande lavoratrice appassionata del suo mestiere, la bolzanina però ancora pecca nella gestione della pressione. Non le si può certo attaccare la croce al collo, Eva ce l’ha messa tutta, ha sofferto come pochi nel portare a termine una gara che l’ha oppressa più che divertita, ma proprio per questo mica le si può fare una colpa? Sicuramente sarebbe necessario prendere in considerazione l’allenamento mentale da affiancare a quello fisico che già sa fare egregiamente ma da sportivi veri dobbiamo saper apprezzare lo sforzo onesto che Eva ha saputo fare, mettendocela tutta, per terminare una gara per lei “nemica”.

Infine le Olimpiadi, le sue pressioni, le attese dell’atleta stesso che superano la realtà, il giro di soldi che comporta una medaglia d’oro e tutto il resto che poco ha a che fare con lo sport possono davvero schiacciare l’atleta e portarlo ad errori imperdonabili.

Per fortuna Alex Shwarzer non corre in bici… ma casino ne ha fatto eccome: però questo è un altro discorso che non ci compete affrontare.

Ecco perché da Marco, Gerry ed Eva c’è solo da imparare e poco da criticare: loro sono i nostri veri campioni olimpici e li ringraziamo di cuore per avercela messa tutta a prescindere dal risultato.

Grazie ragazzi e ci vediamo a Rio.

 

PER LEGGERE QUEST'ARTICOLO NEL WEB MAGAZINE MOUNTAINBIKEOGGI.IT CLICCA QUI

 

 

                                                                    <LA SELLA DI MARCO...>

 

                       

 

Si sa che Twitter e Facebook sono diventati parte importante della nostra realtà comunicativa. Pochi minuti dopo l’arrivo della gara maschile un post dal titolo “Si può buttare un ORO OLIMPICO per una sella artigianale <fatta per lui>? Era stata provata abbastanza, dava garanzie? Val la pena per 30 grammi in meno rischiare così tanto? E chi glie l'ha costruita ci ha pensato a cosa stava facendo? Io non sono daccordo con i ritrovati personalizzati al posto dei componenti di serie...” ha ricevuto 160 condivisioni, 111 “mi piace” e 84 commenti: un boom di opinioni tutte diverse, tutte significative.

Il punto decisivo però è uno: Marco ha sperimentato quel nuovo reggisella costruito apposta per quella sella montando questi due componenti (NON di serie per la sua Cannondale Flash) sulla sua bici durante il ritiro di Livigno e provandoli quindi non più di un mese.

Vale la pena sperimentare nuove soluzioni con un così breve margine di prova in vista di una competizione come le Olimpiadi?

Di sicuro per la gara importante si fa sempre lo sforzo in più, si cercano le soluzioni più adatte, si lavora giorno e notte. Ma a volte si dimentica che la solidità è molto più importante del peso. Marco ha corso su una bici che pesa meno di otto chilogrammi, Kulhavy su una bici di serie più vicina ai dieci chilogrammi: Jaro ha vinto, Marco ha rischiato di perdere anche il bronzo.

 

 
Cos'è il METODO di allenamento BIIO? PDF Stampa E-mail

Quando nel marzo 2001 uscì il libero "La scienza del natural Bodybuilding - metodo BIIO" scritto da Claudio Tozzi, grande fu l'entusiasmo di molti di atleti che compresero i dettami del nuovo modo di allenarsi, basato sul rispetto delle risposte ormonali all'allenamento, ma l'uscita fu accompagnata anche da un certo, giustificato, scetticismo da molti tradizionalisti dell"allenamento Old Style: massacrante, prolungato, sino ad esaurimento. 

                                                         

Claudio Tozzi è un Maestro di Physical Fitness e Body Building presso il CONI Libertas, diplomato alla Scuola dello Sport di Roma, è considerato uno dei maggiori esperti dell'allenamento in palestra, della preparazione atletica (allena anche cicilsti, maratoneti e sportivi di ogni disciplina) e del lifestyle/antiaging.

 In particolare in questi giorni ove il caso Alex Swarzer al di là delle implicazioni doping ci ha messo in evidenza gli stress sportivi ed esistenziali di un atleta che è entrato nel circolo vizioso del DOVERE allenarsi, ecco che parlare di una metodologia di allenamento che rispetta la fisiologia dell'atleta esaltando le prestazioni grazie al completo recupero e al gusto di allenarsi può essere particolarmente interessante.

 

Cosa significa dunque BIIO: Breve , Intenso, Infrequente, Organizzato

 Per gettare le basi atte a costruire un training organizzato, si deve per forza studiare uno dei processi piu importanti dell'organismo: la SUPERCOMPENSAZIONE. Si tratta del meccanismo fisiologico per cui il nostro corpo si adatta alla sollecitazioni esterne. Se per esempio, prima di una seduta di allenamento di forza, abbiamo un certa quantità di energia di base, con l'esercizio perdiamo momentaneamente le nostre capacità neuro-muscolari. Nei giorni successivi i processi di rigenerazione restaurano tali capacità con un livello, però, leggermente superiore al precedente.

 

supercompensazione

 

Questo perché il nostro organismo vuole premunirsi contro altri, eventuali, attacchi.
Può succedere, però, che un atleta si rialleni prima dell'avvenuta supercompensazione. In questo caso non c'è miglioramento della prestazione o della massa muscolare, anzi può avvenire addirittura un peggioramento. È quello che succede quando non si lascia passare il giusto tempo di recupero tra una seduta e l'altra. Infatti, pur essendo una cosa molto soggettiva, il tempo minimo che deve passar tra un allenamento e l'altro per uno stesso muscolo è mediamente di 48 ore.
Quindi  le sedute di allenamento devono essere molto più rare delle solite 6-7 che propongono in quasi ogni programma di allenamento settimanale; in altre parole i vostri allenamenti devono essere  assolutamente INFREQUENTI. La durata ideale di una singola sessione deve essere compresa tra i 40-45 e i 90-120 minuti se l'allenamento è in palestra con i pesi. Durata "misurata" in base alle risposte ormonali invece negli sport di resistenza.

Per calcolare la durata è bene studiare accuratamente i flussi ormonali che avvengono durante l'attività fisica. Gli ormoni da controllare sono: TESTOSTERONE e CORTISOLO.

Il Testosterone è fondamentale nella crescita muscolare, è responsabile  della giusta aggressività nell'allenamento e viene prodotto dai testicolii nell'uomo e in piccole quantità dalle ghiandole surrenali e nelle ovaie delle donne.
Il Cortisolo, invece, viene prodotto  per entrambi dalla corteccia surrenale e, se in eccesso, tende a catabolizzare la struttura muscolare. Esso, purtroppo, tende a innalzarsi durante l'allenamento per arrivare a picchi  notevoli dopo circa 80-90 minuti di training.
Ecco perche l'allenamento di qualità deve essere sempre BREVE, soprattutto se non si è professionisti che hanno a disposizione ore di riposo per recuperare dopo lo sforzo.

Ed ecco perché nel ciclismo, in particolare quello professionistico, ove per esigenze "di lavoro" spesso si debbono coprire distanze superiori ai 200 chilometri (e quindi anche 6 ore di bici) sempre più spesso in allenamento si tende a scegliere la "doppia seduta" (2 ore al mattino + 2-3 ore al pomeriggio) per coprire comunque la distanza prevista e negli ultimi anni si è drasticamente ridotta la consuetudine ad allenamenti lunghissimi in giorni consecutivi.

Ecco così che l'INTENSITA' deve essere sfruttata ai massimi livelli a scapito di un maggior volume, frazionato nel tempo. Il muscolo cresce  solo quando lo si mette in crisi, usando sempre più peso o intensità possibile.

Infine un allenamento per essere fruttuoso deve seguire una logica, ossia dev'essere ORGANIZZATO su basi possibilmente scientifiche: ecco che quindi un TEST d'ingresso (nel ciclismo il TEST DI SOGLIA CON SRM) è fondamentale per effettuare un programma fruttuoso, personalizzato, efficace, che consenta insomma di migliorare senza perdere tempo in lunghi, generici e spesso inutili (o dannosi) allenamenti.

 Nel video che segue Claudio Tozzi spiega direttamente cosa sia il Metodo BIIO

                  Claudio Tozzi

 

Si può applicare al ciclismo il metodo BIIO?

Certamente sì. Avrete già letto, nei passi appena analizzati, che il metodo è assolutamente applicabile ad una disciplina di endurance come il ciclismo di lunga durata, ovviamente perfetto per le prove brevissime su Pista, Bmx, Cronometro.

Per chi segue da anni i nostri metodi di allenamento ed in particolare il metodo Forza & Ossigeno by Camorani non è nuova la tecnica di allenamento ove si tende a privilegiare la qualità, scientificamente organizzata, dell'allenamento alla quantità. In parcolare parliamo di cinque giorni di allenamento alla settimana, con due giorni di riposo assoluto: Dunque due giorni di allenamento ad alta intensità ma breve durata (meno di due ore), un giorno di fondo lungo ma a bassa intensità (però non più di 3-4 ore!) e due giorni di allenamento blando a recupero (due ore).

In particolare nel metodo Forza & Ossigeno, che come abbiamo visto non è affatto in contrasto con il metodo BIIO, ma anzi si può dire che ne esplica, negli sport di resistenza, l'applicazione pedalata, la massima condizione atletica si cerca di costruirla in 7 settimane, di cui le prime tre sono a carico crescente, con intensità non oltre la Soglia Anaerobica. Vi è poi una quarta settimana ove ci si dedica al resupero psicofisico, con pedalate blande. La quinta e sesta settimana invece sono dedicate alla altissima intensità e nella settima settimana ci si dedica di nuovo al recupero e quindi alla supercompensazione.

Allenandoci così forse dovremo attendere almeno 7 settimane di allenamento per ottenere il top della condizione, ma poi questa sarà sicuramente efficace, duratura ma soprattutto fisiologica e soddisfacente.

 
Cos'è la MELATONINA? Ce lo spiega il dr. Fabrizio Duranti PDF Stampa E-mail


La melatonina è un ormone naturalmente prodotto nell’uomo
dall’epifisi o ghiandola pineale, una piccola struttura endocrina a
forma di pigna (da cui il nome), posta al centro del cervello, fra i
due emisferi. Sin dai tempi di Aristotele questo misterioso organo
ha attratto medici e filosofi, che gli hanno attribuito le più
svariate funzioni, fino a identificarlo con il «terzo occhio
» e a ritenerlo
la sede dell’anima (Cartesio).
 
    
 
In realtà la pineale rappresenta una sorta di «orologio biologico
» deputato, nei mammiferi, alla regolazione dei ritmi circadiani
attraverso la sintesi della melatonina. La scoperta di questo
meccanismo si deve principalmente alle ricerche del professor
Julius Axelrod, Premio Nobel per la Medicina nel 1970, con
cui ho avuto l’onore di collaborare durante il mio periodo di insegnamento
alla Rockefeller University. I livelli della produzione
di melatonina sono strettamente collegati all’alternarsi del
giorno e della notte e controllano i ritmi sonno-veglia: poco dopo
la comparsa dell’oscurità i suoi livelli nel sangue aumentano
rapidamente, raggiungendo la massima concentrazione tra le 2 e
le 4 di notte, per poi ridursi gradualmente con l’approssimarsi
del mattino.
Questo ormone viene quindi somministrato come rimedio per
ripristinare l’equilibrio dell’orologio biologico interno in caso di
variazioni determinate da repentini cambi di fuso orario (jet-lag).
Un recente studio realizzato dal MIT (Massachusetts Institute
of Technology) di Boston ha preso in considerazione diciassette studi clinici
sulla melatonina, dimostrando definitivamente
la sua utilità nella cura dell’insonnia. Questa ricerca ha inoltre
evidenziato che i dosaggi necessari per indurre il sonno sono incredibilmente
bassi, circa 10 volte meno di quanto normalmente
proposto nelle preparazioni disponibili sul mercato. Quest’attività
soporifera della melatonina si deve soprattutto alla sua capacità
di attivare in alcune aree del cervello specifici recettori chiamati
MT1 e MT2. Alla fine del 2006 è stato immesso sul mercato
americano un primo farmaco di sintesi, il ramelteon, che,
agendo sugli stessi recettori della melatonina, sta ottenendo un
grande successo nella terapia dell’insonnia.
 
 
 
Ma questo piccolo ormone non si limita solo a regolare il nostro
sonno. Uno dei ricercatori più impegnati nello studio della
melatonina è il marchigiano professor Walter Pierpaoli, che attualmente
dirige l’Istituto per la Ricerca Biomedica Jean Choay
di Riva San Vitale, in Svizzera. Gli studi da lui condotti agli inizi
degli anni Novanta hanno promosso l’uso della melatonina
anche come rimedio antietà. Egli ha infatti dimostrato che l’innesto
di ghiandole pineali giovani in ratti anziani era in grado di
aumentare notevolmente l’età media di sopravvivenza degli animali
e soprattutto di ridurre i segni dell’invecchiamento. Basandosi
su questa e altre evidenze scientifiche Pierpaoli ha pubblicato
negli Stati Uniti un best-seller sulla melatonina
dall’emblematico titolo The Melatonin Miracle, edito in Italia
come La fonte della giovinezza. Al di là del «miracolismo», è
comunque un fatto ben noto che la produzione di melatonina
nei mammiferi sia inversamente proporzionale all’età: è massima
nell’infanzia, ha una flessione nell’adolescenza e decresce
sensibilmente con la vecchiaia. Per esempio, nell’uomo intorno
ai 45 anni si è già ridotta della metà. Questa graduale riduzione,
oltre a spiegare il fatto che le persone anziane spesso presentano
disturbi del sonno, potrebbe rappresentare una delle cause dell’invecchiamento
biologico del nostro organismo, almeno secondo
Pierpaoli. Sulla base di questa ipotesi la melatonina è stata
venduta in tutto il mondo come uno straordinario rimedio per
mantenersi giovani.
       
In effetti non vi è alcuna ragione per credere che i dati ottenuti
sugli animali siano prospettabili anche per l’uomo, ma
certamente la melatonina rappresenta un rimedio dalle molteplici
funzioni, e potrebbe essere particolarmente utile per prevenire
l’invecchiamento cerebrale. Innanzitutto è uno straordinario
antiossidante che, attraversando agevolmente la barriera
ematoencefalica, è in grado di proteggere i neuroni (le cellule
del cervello), dallo stress ossidativo e dal danno da radicali liberi.
La melatonina potrebbe inoltre contribuire alla prevenzione
di alcune malattie neurodegenerative, e la sua riduzione potrebbe
rappresentare un fattore di rischio. Si è visto, infatti, che
i pazienti affetti da demenza di Alzheimer presentano livelli
ematici di melatonina ridotti, pari alla metà dei livelli medi dei
loro coetanei sani. Inoltre la melatonina è in grado di ridurre la
tossicità della beta-amiloide (la sostanza peptidica collegata alla
genesi dell’Alzheimer) e allo stesso tempo di migliorare le
funzioni cognitive e i meccanismi della memoria. Infine, oltre
ad agire come antiossidante puro, essa è in grado di attivare
svariati meccanismi genetici responsabili di un miglioramento
globale delle difese cellulari, e questo spiega la sua attività antitumorale.
Nel 2005 ho collaborato alla realizzazione di uno studio che
dimostra come la melatonina sia in grado di inibire la proliferazione
cellulare in una linea di cellule di crcinoma mammario,
modulando l’attività di geni coinvolti nella regolazione del ciclo
cellulare.
Ormai anche in Italia, dopo un’iniziale travagliata commercializzazione
frenata dagli impedimenti ministeriali, la melatonina
è facilmente reperibile in farmacia, come integratore alimentare.
Per l’insonnia la dose consigliata è da 1 a 5 mg, a
seconda dei casi (ma sembrerebbe efficace anche a 0,3 mg); per
il jet-lag da 1 a 3 mg; per la terapia antinvecchiamento da 0,5 a
1 mg, da assumere in ogni caso prima di andare a dormire, per
due-tre mesi.

Da "Le 100 regole del benessere" ed. Sperling e Kupfer
 
Per maggiori info sui lavori scientifici del dr. fabrizio Duranti vai su www.studio-duranti.it
 
 

 
Lug. '12 - Paolo Alberati su NSB TV: come INTEGRARSI in bici PDF Stampa E-mail

Inizia con il video COME MANGIARE E COME INTEGRARSI IN BICI la serie di video scientifici del nostro Paolo Alberati che mette la sua 'esperienza professionistica maturata nel campo a dispsizione di tutti coloro che desiderano pedalare con profitto.

NONSOLOBENESSERE.TV ossia NSBTV è la nuova Web Tv a disposizione degli sportivi e delle persone che ricercano benessere, insieme a quelli di Paolo, tanti sono i contributi interessanti che potete trovare nel canale tematico Youtube della NSBTV.

Buona visione

 
La BARBABIETOLA ROSSA ANTIOSSIDANTE usato al TOUR PDF Stampa E-mail

Si sa, gli sportivi cercano sempre il massimo, specialmente nelle più grandi competizioni mondiali e ill Tour de France, in fase di svolgimento in questi giorni, per il ciclismo è sicuramente la competizione di maggior risalto e vi partecipano i migliori atleti ciclisti al mondo.

E in nessun altra competizione sportiva, come succede in una grande corsa a tappe di tre settimane, si producono così tanti radicali liberi nel corpo, così tanti da rischiare di mettere in crisi vera e propria, dopo qualche tappa, gli organi emuntori del nostro fisico.

I nuovi regolamenti redatti dall'Unione Ciclistica Internazionale vietano, oramai da due anni, qualsiasi tipo di infusione endovenosa o intramuscolare durante lo svolgimento di una corsa ciclistica e così è stato draticamente interrotto il ricorso a pratiche mediche atte al recupero post-tappa per via parenterale.

                                              

Per anni il dopo tappa dei grandi Giri (Tour, Giro d'Italia e Vuelta Espana) è stato dedicato al recupero fisico con riposo e reinfusioni endovenose di sali, zuccheri e aminoacidi, spesso accompagnati dall'utilizzo di prodotti disintossicanti.

Ora questa pratica non è più consentita e così gli staff medici delle migliori squadre al mondo si sono messi subito in moto per cercare nella natura un valido sostitutivo alla reinfusione di disintossicanti.

Nessuna meraviglia quindi nello scoprire che alcune squadre Protour prima del via del Giro di Francia di quest'anno hanno pensato bene di fare scorta di... SUCCO DI BARBABIETOLA ROSSA!

Ebbene sì, così come riportava una ricerca dell'autorevole  LONDON SCHOOL OF MEDICINE, è stato dimostrato che bere quotidianamente circa mezzo litro di succo di bietola rossa al giorno diminuisce la pressione alta e l'ipertensione. I risultati sarebbero visibile già dopo pochi giorni  con un evidente calo dell'ipertensione.

Il succo crudo di barbabietola è particolarmente idoneo per tutte le persone che soffrono di anemia, in quanto favorisce la formazione di globuli rossi nel sangue. Non solo, favorisce il drenaggio del sangue, ha proprietà diuretiche e favorisce la digestione

Alcuni anni fa la barbabietola rossa è balzata agli onori della cronaca in quanto alcuni studi condotti in Grecia nel 1983 e pubblicati sul "International Journal of Cancer" descrissero le proprietà e gli effetti benefici che questo ortaggio poteva avere nel contrastare il tumore al colon.

                     

 

 La sua assunzione, grazie all'abbondanza di saponine  e sali minerali è molto indicata per i bambini deboli, i convalescenti e gli anemici. Sempre grazie alla presenza di saponine che facilitano l'eliminazione dei grassi, la barbabietola rossa ha anche proprietà depurative dell'organismo.

La presenza di vitamina C apporta invece benefici al nostro sistema immunitario rafforzandolo e l'acido folico, in unione con la Betaine, rinforza i vasi capillari contribuendo a mantenere in salute il sistema cardiocircolatorio.

Gli antociani, pigmenti idrosolubili presenti in abbondanza nella barbabietola rossa, appartenenti alla famiglia dei flavonoidi, hanno forti proprietà antiossidanti in grado di apportare benefici al microcircolo ed al cuore in particolare.

In ultimo, la barbabietola rossa è in grado di attenuare le infiammazioni che riguardano l'apparato digerente ed è un ottimo aiuto nel contrastare le malattie del fegato.

Uno dei nostri atleti al via del Tour può confermare di aver utilizzato la barbabietola in succo tutti i giorni e, pur affermando che il sapore del succo non è proprio idilliaco, alla terza settimana del Tour ancora deve avvertire quei fastidiosi mal di gambe che in tante altre occasioni lo avevano afflitto dopo alcuni giorni di gara consecutivi nel passato.

 

Paolo Alberati

 

 
La GLUTAMMINA, regina degli AMINOACIDI. Il Dottor Duranti ci spiega le proprietà PDF Stampa E-mail

                     

 

E' ancora la preziosa ed illuminante esperienza del dr. Duranti che ci viene in aiuto per capire i segreti di questo aminoacido che è il più diffuso nel nostro corpo.

E' un potente componente anticatabolico, aiuta il sistema immunitario a rimanere efficiente, aiuta il cervello a rimanere sveglio e molti molti altri i suoi effetti.

Ma, non si pensi che basta assumere GLUTAMMINA per stare bene: il movimento e l'ATTIVITA' SPORTIVA restano sempre la migliore terapia per la nostra salute psicofisica.

Ascoltiamo il Dottor Duranti cliccando il link sottostante:

 
La CURCUMA un buon amico del CERVELLO e non solo... PDF Stampa E-mail

Con il nostro dott. Fabrizio Duranti andiamo a scoprire, tramite il suo contributo su Radio Dj, cos'è la CURCUMA, spezia naturale e quali sono le sue proprietà officinali.

Curcuma è un genere appartenente alla famiglia delle Zingiberaceae, comprendente un totale di circa 80 specie. Il suo nome deriva dal Sanscrito "Kum-kuma", ed è l'ingrediente principale del curry indiano. In Italia è anche più comunemente chiamata ZAFFERANO.

Le piante appartenenti a questo genere sono utilizzate a scopi alimentari e officinali. La spezia più utilizzata è quella derivata dalla specie Curcuma longa, detta anche zafferano delle Indie (o semplicemente indicata come curcuma.

 

                         

Quando può essere usata

Tradizionalmente usata per le sue proprietà antinfiammatorie ed epatoprotettive, la curcuma è utile per trattare le coliche biliari, ma anche condizioni come le colecistiti, la colelitiasi e l’ittero.

Secondo alcuni studi, una sostanza contenuta nella curcuma, detta curcumina, presenta un’attività antinfiammatoria accompagnata da una bassa tossicità.

Meccanismo d’azione

La curcuma contiene innumerevoli sostanze attive, come la stessa curcumina, dall’azione coleretica (ovvero stimolante la produzione della bile), ma anche vitamina C e altri antiossidanti.

Gli agenti attivi presenti nella curcuma hanno anche proprietà colagoghe (stimolanti la contrazione della colecisti), epatoprotettive e antisettiche.

Grazie a queste proprietà, la curcuma è quindi consigliata nei disturbi a carico del fegato, della mucosa gastrica e dei processi digestivi in genere, fungendo anche da stimolante dell'appetito.

Come si presenta

La polvere giallo-ocra utilizzata viene ricavata dal rizoma. La farmacopea prevede la preparazione di tinture madre (estratti alcolici), estratti oleosi (oli essenziali) ed estratti acquosi (sotto forma di tisane), ma soprattutto di estratti secchi titolati in curcuma.

Si presenta anche sotto forma di compresse o capsule. Per le sue proprietà coloranti, la polvere della curcuma viene utilizzata come tintura tessile e colorante alimentare.

Posologia

Per un uso salutistico è sufficiente inserirla come ingrediente della dieta quotidiana. Una dose ideale può essere un paio di cucchiaini da caffè al giorno. Come condimento, può essere aggiunta a fine cottura di molti alimenti, ma si può anche usare nello yogurt o farne una salsa.

Per effetti più marcati si consiglia l’estratto secco titolato in curcumina min. 4% (Commissione E tedesca), la cui dose giornaliera va da 8 a 10 mg per kg di peso corporeo, suddivisi in due assunzioni preferibilmente lontano dai pasti.

Se assunta assieme ad altre spezie, come il pepe nero, l’assorbimento viene notevolmente potenziato.

Effetti collaterali

In condizione di salute, la curcuma è sicura e senza particolari controindicazioni. Tuttavia, in caso di patologie o disturbi, quali l’occlusione delle vie biliari, la curcuma dovrebbe essere assunta dopo aver consultato il medico. Simili consigli valgono in caso di gravidanza e allattamento.

Per l'effetto anticoagulante della curcuma, è necessario fare attenzione a somminstrarla a persone con problemi correlati alla coagulazione del sangue.

Nonostante gli effetti gastroprotettivi, dosi eccessive di curcuma possono causare disordini gastrici. In caso di comparsa di questo genere di disturbi è consiglibile ridurre le dosi o interrompere l’assunzione.

 

 
TESTA & GAMBE il connubio perfetto per la prestazione perfetta PDF Stampa E-mail

«E’ un atleta dalle potenzialità incredibili, ma non ha testa… »

Avete presente la classe cristallina del calciatore Balotelli e la passione e dedizione in allenamento e in partita di “ringhio” Gattuso?

E per esempio, nel ciclismo di qualche anno fa forza portentosa, le gambe di Gianni Bugno e la testa di Maurizio Fondriest?

«Ah, avere un atleta con entrambe queste caratteristiche, chissà quanto vincerebbe !»

            

Chissà quante volte avrete sentito considerazioni del genere, magari al Bar dello Sport o al club, quanti tifosi di sport avrete visto impazzire davanti alla tv o sulle strade delle corse tifando per l’uno o per l’altro, lamentandosi magari della mancanza equilibrio mentale in Balotelli o di un piede particolarmente “felpato” in Rino Gattuso; di quel pizzico di cattiveria agonistica nel patrimonio atletico di Bugno o della carenza di qualche watt di potenza in più nelle gambe di Fondriest, utili a raggiungere quei traguardi eclatanti che più volte entrambi hanno sfiorato (escluso il titolo mondiale, ovviamente…) senza poi alla fine centrare.

 

In realtà però nella storia del ciclismo campioni completi, dotati di testa e gambe altrettanto forti ne sono esistiti tanti.

Magari voi stessi vi starete chiedendo cosa sarebbe venuto fuori dall’incrocio tra le qualità atletiche di Bugno e quelle caratteriali di Fondriest ? Semplice, la risposta proviamo a darla noi: ne sarebbe scaturito un’atleta molto simile al cannibale Eddy Merckx. Oppure, qualche anno dopo, a Bernard Hinault. O, ai nostri giorni, diciamo un Lance Armstrong…


Voi sapete che A&G Sporting ha nel suo staff uno psicologo dello sport, il Dott. Fabio Forzini, mental trainer della Nazionale Italiana di Ciclocross ma anche soprattutto di alcuni nostri atleti professionisti.

Fabio è un professionista affermato del settore, responsabile scientifico di Girobio (Giro ciclistico d’Italia per Under 27), già atleta ciclocrossista partecipante con la Nazionale Azzurra a Mondiali ed Europei, oggi è uno specialista a disposizione di tutti gli atleti, nel “chi siamo” del nostro sito potete trovare i suoi riferimenti.

Ma qui desideriamo dare a tutti i nostri lettori delle linee guida fondamentali per concentrare le energie accumulate in allenamento e scaricarle sui campi di gara senza inutili e dispendiosi errori di approccio mentale.

  

Il dott. Forzini, MENTAL COACH A&G tiene una lezione agli atleti professionisti seguiti da A&G nello stage di Catania nel dicembre scorso

Le qualità fisiche certo sono importanti, ed è fondamentale svilupparle in maniera corretta attraverso un allenamento appropriato. Del resto tabelle di allenamento dettagliate vengono proposte mensilmente anche nella rubrica SCHEDE DI ALLENAMENTO del nostro sito, suggerendo metodiche nuove, carichi di lavoro da eseguire secondo una determinata tempistica. Ma la mente invece, “la testa”, vi siete mai chiesti quanto conta ai fini del risultato finale, per il raggiungimento di un’ottima performance ? Tanto, conta tantissimo, se facciamo delle percentuali, diciamo che incide per oltre il cinquanta per cento!

 

Alfredo Martini, vecchio saggio del ciclismo italiano, ha avuto modo più volte di rimarcare quanto a suo parere può incidere una giusta motivazione, l’attenzione vigile del corridore mentre sta pedalando nel cuore della corsa, al fine del raggiungimento del risultato. Ci ha raccontato una volta: «Immaginate di trovarvi in corsa a pedalare svogliati, scarsamente concentrati su quello che state facendo:  vi sembrerà di fare fatica oltre misura, di avere le gambe gonfie, il fiato corto. Ogni minimo cavalcavia vi sembrerà una salita insopportabile.

Poi, d’un tratto, una frenata brusca, la ruota vi scarta, volate in terra con un bel capitombolo. Vi rialzate di scatto, e scrollandovi la polvere di dosso, vi accorgete di non aver riportato danni. Così ripartite di scatto, colpiti da un’improvvisa scarica d’adrenalina, ringalluzziti e rinvigoriti,  e solo allora vi rendete conto di non avere affatto né mal di gambe, né il fiato corto. Quello che mancava prima non erano le gambe… ma la testa!»

Claudio Chiappucci un giorno, seduto al tavolo della cena alla vigilia della Gran Fondo Gimondi, ci confidò quale importanza avesse ricoperto nel corso della sua carriera fortunata la sua determinazione maniacale nel raggiungere i risultati, la voglia di chiedere sempre di più a sé stesso, ponendo attenzione a tutti i particolari, dall’allenamento corretto e costante, alla ricognizione dei percorsi di gara nei mesi precedenti, «così da avere l’impressione ogni volta che correvo, anche lontano dall’Italia, di trovarmi come a giocare in casa…».

Ci raccontò allora come preparò la sua splendida vittoria nella tappa con arrivo al Sestriere nel Tour del 1993.

« Quella tappa l’avevo impressa nella mente e nel cuore da mesi prima. In primavera andai con Quintarelli (suo direttore sportivo di allora, ndr) in ricognizione sul percorso, pedalando in allenamento tutti i 210 chilometri della tappa. Poi in seguito su quel percorso ci tornai ancora da solo e ripercorsi di nuovo tutti i mitici colli di quel tracciato.

Così, il giorno della corsa, pronti via andai subito in fuga, prima in diciotto, poi siamo rimasti sempre di meno, sino a staccare tutti i miei avversari ad uno ad uno e raggiungere da solo, trionfalmente il traguardo di Sestriere ».

Più di 180 chilometri di fuga solitaria, che impresa! «Eh sì che riuscii a fargli paura a quel mostro di Indurain… Ma in più, dentro di me, sapevo di avere un’arma in più, quella di studiare tutti i particolari, essere coscienti di tutte le risorse a propria disposizione, la lunghezza delle salite, le curve in discesa. Era poi importante anche conoscere le dinamiche del gruppo, chi poteva essere tuo alleato in una fuga da così lontano e chi magari invece ti avrebbe giocato contro, tirando il gruppo insieme al navarro. Insomma, l’uso della “testa” nelle mie vittorie aveva predominanza assoluta rispetto alla forza delle gambe, che quando stavo bene c’e n’era in abbondanza anche di quella. Ma da sola non sarebbe certo bastata».

                               

Dobbiamo però fare una premessa. Un approfondimento come quello che andremo a fare è tagliato su misura per ciclisti dall’anima agonistica, per migliorare le proprie performance, per un approccio più cosciente alla sfida della gara. Ma non dimentichiamo certo il cicloturista che ama pedalare tranquillo in solitaria, che se vuole evitare di annoiarsi a capire cosa passa nella testa dell’agonista puro nel momento di affrontare una gara, ansie, paure, stress, può saltare a piè pari i prossimi primi due paragrafi e riprendere la lettura dal punto tre in poi.

 

1- PORSI DEGLI OBIETTIVI (realistici)

Sicuramente vi sarà successo più volte, magari di fronte allo sforzo estremo di tenere le ruote di un avversario, magari lottando contro le rampe di una lunga salita (diciamo il Rombo dell’Oetztaler…), avrete sicuramente pensato per un attimo di mollare, di gettare la spugna, «che tanto non ne vale la pena, chi me lo fa fare…». E così, per un istante appena di sconforto gettate all’ortiche il risultato di mesi e mesi di lavoro di preparazione atletica, pentendovi poi amaramente, dopo, di aver ceduto proprio sul più bello.

Per evitare di inciampare di nuovo in inconvenienti del genere bisogna studiare una strategia: quella dell’”obiettivo realistico”.

Su questo argomento Lance Armstrong, nel suo libro “Non solo ciclismo” ci dà lezioni fondamentali di auto-motivazione. Lance racconta che le prime pedalate di ripresa dopo aver sconfitto la malattia del cancro, sono state durissime anche per lui. All’inizio almeno si era subito scoraggiato, non riuscendo a raggiungere con facilità obiettivi che si era posto, troppo alti rispetto alle sue momentanee possibilità. Aveva pensato di rientrare in corsa e vincere subito e nel momento in cui si accorse che questo non gli riusciva (il suo secondo debutto risale alla Ruta del Sol del febbraio 1998, dove si classificò 4° in classifica generale), si scoraggiò subito ed abbandonò per alcuni mesi di nuovo la bici. Poi invece in seguito ripartì sposando la politica dei piccoli passi, cercando di porsi degli obiettivi a breve scadenza facilmente raggiungibili, per poi ripartire verso altri obiettivi, spinto dallo slancio dei piccoli successi ottenuti. Questo suo atteggiamento, come sappiamo, in seguito lo ha portato molto in alto… 

                          

Se nella stagione passata siamo riusciti per esempio a completare la nostra gara del cuore in un tot di ore, potremmo provare, per la stagione a venire, a limare dieci minuti al cronometro della stagione passata. Oppure potremmo pensare di riuscire a iniziare la stagione con un chiletto di grasso in meno addosso, un piccolo obiettivo perseguibile in poco più di tre settimane, seguendo una dieta blanda ma “motivata” da piccoli successi di perdita di peso nelle settimane intermedie.

Ponendoci obiettivi alla nostra portata, possiamo continuare a migliorare sempre, senza porci dei limiti. L’entusiasmo per i piccoli successi riportati sarà il motore dei nostri miglioramenti successivi.

(Vedi anche: “Lance Armnstrong, programma di allenamento” di Lance Armstrong e Chris Carmichael – Libreria dello sport editore – Cap 5: Le regole della strada, cap 17: forza mentale)

“Non solo ciclismo”, Lance Armstrong&Sally Jenkins – Libreria dello sport editore – Cap 7: Kik

“Il pensiero positivo nello sport” di Gianni Bassi – Libreria dello sport editore – Cap 3: Tutto è migliorabile)

 

2- ALLENARE LA TESTA A “GIOCARE IN CASA”

Ricordate cosa raccontava Chiappucci a proposito della tappa del Sestriere…

Quella di conoscere menadito i percorsi, i profumi, le caratteristiche del luogo dove andremo a correre è un’arma potentissima nelle nostre mani che può dare tantissimi frutti, se usata bene. Da alcuni quest’arma viene chiamata “esperienza”: non è un caso che anche i campioni del ciclismo professionistico riescono ad ottenere i loro successi più importanti soprattutto in età matura. E questo si evidenzia soprattutto a proposito di gare molto selettive, dai percorsi molto esigenti. Un esempio?

La Roubaix.

«Prima di vincerla – ha raccontato più volte, personalmente a chi vi scrive, il compianto Franco Ballerini – bisogna imparare a perderla. Conoscerne tutti i segreti, le pietre, le curve, il “mostro” dei 250 chilometri…».

E poi, aggiungiamo noi, bisogna “sentire” propri il clima rigido del mattino alla partenza nella piazzetta di Compiègne, amare il profumo dell’olio canforato sulle gambe dei ciclisti, quello dei wurstel arrostiti nei bistrot, avere nel cuore e nella testa ogni singolo tratto di pavè.

Allora, solo allora, forse la Roubaix si concede al suo cacciatore.

Secondo voi, come mai Lance Armstrong è solito “correre” un suo personale Tour, percorrendo le strade della corsa transalpina in ricognizione tre mesi prima della gara? Per conoscere, memorizzare, interiorizzare…

E poi rielaborare mentalmente, magari la sera prima delle varie tappe, disteso sul proprio letto, utilizzando la tecnica della “visualizzazione” per ripercorrere mentalmente tutti i passaggi chiave della corsa dell’indomani.

                                                  

Che dire allora del mitico silenzio ovattato della partenza di una Nove Colli, quando lo sparo dello start rompe la quiete apparente, in un’atmosfera carica di adrenalina e il gruppo parte a palla e si spalma su tutta la sede stradale, sulla via Emilia, salendo verso Bertinoro…

Che ne dite di andare qualche volta anche voi in ricognizione sui percorsi delle gare? Al limite, se ritenete che non vi sarà poi così utile, avrete almeno fatto un ottimo allenamento su percorsi “motivanti”.

(Vedi anche: “Psicologia e attività sportiva” di Richard J. Butler – Il pensiero scientifico editore – cap 12: La visualizzazione)

 

3- PENSARE POSITIVO

Quei due chili di troppo che vi portate addosso alla partenza di una gara… Sapete che avreste dovuto toglierli nei mesi precedenti, che dovevate essere più attenti alla dieta, ad altre mille cose... «Ma ora, come farò? Non ce la posso fare, non mi sono allenato a dovere, sono soprappeso, su quella salita mi hanno sempre staccato…».

Sono tutti pensieri negativi, che vi tolgono forze, vi distolgono dalla gioia di fare una bella pedalata su strade amiche, in una giornata splendida, dedicandovi all’attività che più vi piace. Pensieri negativi che vi fanno sentire contratti, inadeguati, stressati.

 

                                      

 

Allora, via una volta per tutte le negatività! Quando salite in bici pensate come di chiudere in una valigia tutte le preoccupazioni legate alla vita privata, al lavoro, alla condizione fisica magari carente. Pensate poi di riporre la valigia in un angolino della soffitta e siate consapevoli che potrete riaprirla solo dopo, una volta scesi dalla bici. Ora si pedala e basta, per il semplice gusto di farlo, contando su tutte le proprie forze disponibili al momento (e vi renderete conto poi che sono molte di più di quello che pensavate…). Insomma, in bici si pedala solo positivamente!

(Vedi anche: “Psicologia e attività sportiva” di Richard J. Butler – Il pensiero scientifico editore – cap 8: Pensare ppositivo, cap 9: Credere in sé

“Il pensiero positivo nello sport” di Gianni Bassi – Libreria dello sport editore

“Il pensiero positivo oggi” di Norman Vincent Peale – Armenia Editore)

 

4- NON PORSI DEI LIMITI

Eccoci di nuovo a parlare, anche se sotto un’altra forma, di pensiero positivo: solo chi pensa positivo migliora continuamente, anche oltre le proprie aspettative.

Ci riallacciamo anche però al punto 1, quello sugli obiettivi: va bene porsi dei piccoli step, obiettivi ravvicinati facilmente raggiungibili. Ma questo non può però impedirci di fare dei sogni un po’ più grandi di noi...

Per raggiungere traguardi elevati, prima bisogna coltivarli nel mondo dei sogni, cullarli, inseguirli, anche con un pizzico d’incoscienza. Solo così, senza porsi dei limiti a priori, anche le sfide più difficili si possono vincere.

                             

 

(Vedi anche: “Non solo ciclismo”, Lance Armstrong&Sally Jenkins – Libreria dello sport editore – Cap 9: Il Tour

“Lo Zen e l’arte della corsa” di Luca Speciali -  Edizioni Correre – Pag 21: storie vere di atleti cerebrali.

 “Il pensiero positivo nello sport” di Gianni Bassi – Libreria dello sport editore – Cap 3: Tutto è migliorabile

“Come acquistare una marcia in più” di Norman Vincent Peale – Bompiani editore)

 

5- RILASSATEVI E PARTITE!

Vi è mai capitato di correre davanti ai vostri cari? Di passare in bici per le strade del vostro paese? Di sentirvi osservati e “obbligati” a fare un’ottima corsa?

La tensione può essere un’arma a doppio taglio: potentissima se riusciamo ad incanalarla nella direzione giusta, a nostro favore, trasformandola in grinta e determinazione. Distruttiva se ci lasciamo sopraffare da questa. Una brutta bestia che blocca le gambe, toglie il respiro, fa venire i crampi allo stomaco.

«Eppure in allenamento, nei giorni precedenti la gara ci sentivamo dei leoni, invece proprio la mattina della corsa, in griglia, prima del via…».

 

                                   

Ma attenzione, di tensione si nutre la nostra adrenalina: quel fastidioso groppo alla gola, quello stomaco contratto nelle ore prima di partire, non sono altro che il segnale che il fisico ci dà: «sono pronto alla battaglia!» ci dice e di questo noi dobbiamo solo esserne contenti.

A quel punto sta a noi saper controllare i “lievelli di attivazione”, ossia bisogna saper essere né troppo, tesi, né troppo rilassati, ma al contrario gettare sui pedali tutta la nostra tensione positiva che a quel punto diventerà energia.

 

 ( Vedi anche: “Lo Zen e l’arte della corsa” di Luca Speciali -  Edizioni Correre – Cap 2: Correre zen

“Supersalute con la zona” di Fabrizio Duranti – Sperling & Kupfer Editori – Cap 11: La meditazione)

 

Avete capito dunque? Inutile sfinirsi  in allenamenti sfiancanti, chilometri massacranti, diete ipocaloriche, se poi al momento di partire per una corsa (o salire in bici per una semplice pedalata rilassante) non vi ricordate di collegare il cervello alle gambe.

Adesso sapete come fare: se riuscirete ad “allenare” un po’ anche la vostra testa, tutto poi vi sembrerà più semplice, andare in bici ancora più bello. Ma soprattutto (per chi intende correre) sarà più redditizio.

 

 
Cura delle gambe: perché le calze linfodrenanti sono utili? PDF Stampa E-mail

 Gambe pesanti, gonfie di liquidi e mal di gambe in genere, post sforzo.

Vi è una soluzione per risolvere il problema?

Sicuramente sì: utilizzate calze linfodrenanti a compressione graduata!

                            

Cosa sono? Semplice, sono calze specifiche, in alcuni casi (vedi vene varicose e problemi flogistici) anche con effetto medicale, che stringono molto nella parte bassa della gamba (caviglia) per poi ridurre gradualmente la pressione man mano che si sale verso la coscia, utili quindi a prevenire e semmai risolvere il ristagno di liquidi nel basso, ottimo rimedio “sportivo” per tenere le gambe sgonfie e quindi libere dalle tossine prodotte sotto sforzo.

Il loro utilizzo è consigliato anche alle persone sane, nella vita di tutti i giorni, ma possono ovviamente trovare applicazione anche nel nostro specificao campo sportivo.

                        

Sono ottime infatti nel dopo allenamento: fate la doccia e terminatela con un po’ di ginnastica vascolare, ossia alternando getti di acqua calda a getti di acqua fredda nelle gambe, partendo dal piede poi su su sino all’inguine. Appena terminata la doccia mettetevi con le gambe alte sul letto e indossate le calze a compressione graduata e tenetele almeno per un’ora. Ottima idea usare, prima di indossarle, anche crema specifica o gel flebotonico.

Esiste addirittura la pratica della PRESSOTERAPIA, che nei centri specializzati di fisioterapia viene praticata per sgonfiare le gambe dai liquidi di ristagno.                     

Le calze linfodrenanti trovano un validissimo utilizzo però anche in fase pre-gara.

La notte della vigilia della gara, prima di coricarvi, posatene un paio nel comò, di modo che al mattino, prima di mettere il piede a terra per il primo passo (di notte, in posizione orizzontale avrete certamente le gambe sgonfie di liquidi) le indosserete stabilizzando così la situazione di gambe sgonfie con le calze indossate.

                        

A seguire, le toglierete solo dopo aver terminato il riscaldamento che, come sappiamo bene, serve a 1) alzare la temperatura corporea, preparando il fisico allo sforzo. 2) preparare il sistema biochimico allo smaltimento dell’acido lattico che presto (in gara) verrà irrorato generosamente nel torrente ematico, 3) sgonfiare le gambe da liquidi di ristagno inutili, anzi dannosi nello sforzo sportivo. Ecco, quest’ultima problematica, indossando calze linfodrenanti verrà rimossa alla base!

 

 

 
<< Inizio < Prec. 1 2 3 4 Pross. > Fine >>

Risultati 15 - 28 di 45
© 2024 A&G Sporting Oficina
aegsporting.com partita iva n. 02839530546