18 Lug. GINO BARTALI "compie" 100 anni

Il 18 luglio 2014 GINO BARTALI "compie" 100 anni dalla nascita. Le righe a seguire sono un articolo, un ricordo del nostro Paolo Alberati, scritto per Sport Plus in edicola a N.Y. (Usa) da martedì 14 luglio

Io e Bartali…

Il 10 maggio 2000, alle 10 del mattino ero tra quelli (eravamo in molti) che attesero Gino Bartali per l'ultimo saluto, assiepati nella chiesa di San Polo in Palco a Firenze. Per affetto, per rispetto, per amore di uno sport, il ciclismo, che finora ha dato un'impronta importante anche alla mia vita e di cui Gino Bartali è stato un interprete memorabile, ai miei occhi direi anche ‘mitico’, quella mattina mi recai al funerale per dare anch'io il mio ultimo tributo ad un uomo ed un atleta indimenticabile.

     

Le pagine di SPORT PLUS settimanale della comunità italiana a New York, in edicola negli Stati Uniti.

 

Io stesso ciclista professionista, in quei giorni impegnato in allenamenti e gare di una stagione agonistica nel pieno dell'attività, mi feci accompagnare in auto da un amico col quale condividevo e condivido tutt'ora la passione per il mondo delle corse ciclistiche, portando con me la bici nel portabagagli, con l'intenzione di fare ritorno a Perugia, dopo il rito delle esequie, proprio in bicicletta, percorrendo circa 150 km, insomma cento miglia.
Era un'‘esigenza’ di lavoro e anche un modo per rendere omaggio a Bartali che pochi mesi prima avevo avuto la fortuna di conoscere di persona e con cui mi ero intrattenuto in lunghe chiacchierate prima del via delle tappe del Giro d’Italia che stavo correndo. C’era poi la curiosità di conoscere le strade che, avevo sentito dire, percorreva in tempo di guerra per fare da ‘portalettere’ un po' speciale per la Curia fiorentina, verso l'Umbria, prima Perugia e poi Assisi.
Avevo sentito dire (all’inizio mi era sembrata più una favola che un fatto realmente possibile) dagli anziani delle mie parti, dai vecchi ‘suiveurs’ di un ciclismo in bianco (di polvere) e nero (come la fame nera), tra questi soprattutto da Ivo Faltoni, meccanico del grande campione fiorentino negli anni cinquanta, che Ginettaccio era stato visto in allenamento durante la guerra dalle parti di Magione, in provincia di Perugia, sostare presso il bar del ‘curvone’ o alla stazione ferroviaria di Terontola, sulla riva aretina del Lago Trasimeno.
Da altre parti, e questi erano i ben informati a raccontarlo, si diceva che Bartali in quel periodo, tra il settembre 1943 ed il giugno 1944, era stato visto partire all'alba da Firenze, in direzione di Assisi appunto, per poi far rientro in serata, a volte anche in nottata, nella sua casa fiorentina in via del Bandino (oggi Piazza Elia dalla Costa), proprio di fronte alla chiesa dove quel mattino si stava celebrando il suo funerale.
Quello che avevo sentito era stato un racconto che mi aveva subito affascinato: come non considerare la notevole distanza coperta in bicicletta in un solo giorno da Bartali (circa 380 chilometri), lo stato delle strade (polverose, impervie e pericolose per via degli eventi bellici) da lui attraversate e l'intento nobile di questa sua missione…


       


La tesi di laurea con cui Paolo Alberati di laurea dottore nella Facoltà di Scienze Politiche di Perugia.

                  <La Guerra di Gino Bartali: ebrei e cattolici i Toscana e Umbria 1943-1944>

 

Ma che genere di “lettere” trasportava in particolare Gino Bartali? Allora, quel mattino del 10 maggio 2000 non lo sapevo. Avevo solamente sentito dire di quei viaggi, ma a me era bastato per pensare di ripercorrere quella strada (nel tragitto di sola andata) facendo un omaggio gradito al ricordo di Bartali, provando ad immaginare i luoghi, le sensazioni, le situazioni incontrate da lui più di cinquant'anni prima.

Tornai nella mia abitazione di Castelvieto di Corciano in provincia di Perugia, in Umbria, stanco ma soddisfatto. In quattro ore e mezza e 150 chilometri pedalati avevo scaricato l'amarezza di un mesto funerale ma, metro dopo metro, non avevo potuto fare a meno di riflettere su cosa mai Gino Bartali potesse trasportare con sé di così riservato.
Così è successo che, ad aprile del 2003, arrivato il momento di redigere la mia tesi di laurea pensai a Bartali e da allora, prima insieme al Professor Dario Biocca (ordinario di Storia Contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche), poi insieme ed in piena sintonia con la famiglia Bartali ho così iniziato il mio avvincente percorso di ricerca che mi ha portato a scoprire e “certificare” con rigore storico fatti prima tenuti nascosti per anni con gelosa riservatezza.
E da lì, passo dopo passo, ho così scoperto non solo il campione Bartali che già conoscevo, ma un Uomo dotato di una prorompente umanità, direi sublime. Come oramai tutti sappiamo Bartali trasportava documenti falsificati per salvare centinaia di Ebrei nascosti nei conventi assisani e fiorentini, a rischio della vita.
Siamo nel settembre 1943, Gino Bartali è il campione che l’Italia osanna, ha già vinto il Giro d’Italia del 1936 e del 1937, ha dominato il Tour de France del 1938, ha già assistito alla nascita della stella di Fausto Coppi che da compagno di squadra e gregario del campione di Ponte a Ema gli soffia sotto gli occhi il Giro d’Italia del 1940. L’ultimo Giro d’Italia corso prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale, o come la chiamate voi americani IIWW. Poi da lì in poi è distruzione e disperazione, anche gli atleti vengono arruolati nell’esercito e mandati al fronte.: Fausto Coppi impegnato con le truppe italiane nella Campagna d’Africa viene fatto prigioniero dagli Inglesi e nel 1943 in Italia non se ne sa nulla di lui, non si sa che fine abbia fatto, mentre invece Gino Bartali viene arruolato nell’Aviazione Civile Italiana presso l’aeroporto militare di Castiglione del Lago con il compito specifico di fare da portalettere in bici.

Bartali è un atleta famoso, ricco, benestante e ben voluto. Ha da poco sposato la moglie Adriana (nel novembre 1940) e da pochi mesi è nato il suo primogenito Andrea. Ma Bartali è anche un uomo di grande fede religiosa, sempre in contatto con la chiesa fiorentina e con il suo reggente, ossia l’Arcivescovo Cardinale Elia Dalla Costa.
Questi è l'eroico’artefice di un piano clandestino che collega Firenze ad Assisi, ove vi è una stamperia clandestina che prepara documenti falsi che servono per ridare un’identità “pulita”, italiana e non ebraica a molti cittadini ebrei rifugiati nei conventi fiorentini e ricercati dalla polizia nazista. L’arcivescovo di Assisi Mons. Placido Nicolini è in accordo con il Cardinale Dalla Costa, è però necessario che qualcuno al di sopra di ogni sospetto possa collegare le due città, trasportando tra Firenze ed Assisi le fotografie di questi ebrei rifugiati a Firenze e riportare da Assisi a Firenze le carte d’identità falisificate, con sopra incollate e timbrate queste foto che il tipografo Luigi Brizi confeziona con amore e riservatezza nella sua bottega.
Gino Bartali si mette in gioco, rischia la vita, la carriera, il benessere, tutto insomma per aiutare chi ha bisogno e comincia a parcorrere in bici la strada tra Firenze ed Assisi, andata e ritorno 380 chilometri, nascondendo dentro il telaio della sua bici questi documenti scottanti.
Tra il settembre del 1943 e il giugno del 1944 nella mia tesi di laurea riesco a documentare circa 40 viaggi che uniscono le due città e rendono la vita salva a circa 800 cittadini ebrei. Azione eroica che vale a Bartali il riconoscimento postumo (nel maggio 2005) della Medaglia d’Oro al Merito Civile del Presidente della Repubblica Italiana e soprattutto il riconoscimento dell’albero nel Giardino dei Giusti presso l’ Yad Vashem di Gerusalemme nel novembre 2013.

  
            

Paolo Alberati nel ruolo di Gino Bartali nel film GINO BARTALI L'INTRAMONTABILE    (Rai Fiction 2006)

Come immaginerete ogni singolo passo della ricerca è stata una scoperta continua ed esaltante, ma non era finito tutto lì, nel giorno della mia laurea…
Pochi giorni dopo infatti mi sento squillare il telefonino: è il regista Alberto Negrin che mi chiede di partecipare come consulente storico al suo film Rai “Gino Bartali, l’intramontabile” per la parte riguardante i viaggi clandestini di Bartali. Mi chiede un incontro a Roma e non appena mi vede, fisico asciutto, da ciclista quale sono, mi scrittura anche come attore-controfigura proprio di Bartali (Pier Francesco Favino l’attore protagonista) nel suo film!
Le riprese del Film avvengono nell’estate del 2005 nella campagna toscana, tra Siena e Montalcino, tra Firenze e Cortona. Adriana, la moglie di Gino Bartali, è tra le spettatrici interessate (ha un ruolo di consulente) delle riprese e quando mi viene chiesto di interpretare la scena della caduta dalla bici di Bartali che si rompe il naso, Adriana che mi vede sanguinante (per via del trucco) e mi sente lamentarmi (per finta) si preoccupa e fa per correre verso di me per ripulirmi il volto dal sangue.

Poi succede che la Giunti Edizioni, nella persona del suo Direttore Editoriale Bruno Mari, a seguito del film viene, a sapere della mia storia tramite i giornali fiorentini e mi chiamano anche loro, mi chiedono di fare un libro non solo su questa storia, ma sul Bartali Uomo: ed ecco che nell0ottorbre del 2006 esce il mio <Gino Bartali mille Diavoli in Corpo> che vende tantissimo e tante sodddisfazioni mi regala.  

                        

Ed ecco che oggi mi ritrovo sempre più spesso a partecipare a conferenze o mi viene chiesto di scrivere di lui, di Gino che a questo punto sento davvero un po’ come un mio angelo custode che dall’alto mi guida prima nelle parole, ma poi anche nelle pedalate dei miei allenamenti. Sarà infatti un caso, ma da quando “lavoro” per lui anche in bici vado davvero più forte!
E ogni volta che parlo in pubblico di lui mi emoziono, sento di parlare di una persona amica, che è importante non dire «bischerate». Del resto ogni giorno di più mi rendo conto che nel cuore di tanti vecchi suiveurs del ciclismo, ma anche dei più giovani, Bartali è un Uomo vivo e così ho sempre un timore, più che reverenziale, umano direi e mi chiedo: chissà se da lassù lui è contento o si arrabbia e magari comincia a brontolare ancora una volta che «l’è tutto sbagliato, tutto da rifare...!» .

Paolo Alberati