Lug.-Ago. '14 - POWERMETER I puntata: parliamo di GARMIN VECTOR |
|
|
|
 Può il misuratore di potenza migliorare le nostre sessioni di allenamento? Di questa domanda oramai tutti sappiamo la risposta, ossia un sì deciso, che viene dall’esperienza accumulata nel tempo, ove abbiamo anche personalmente potuto verificare che la qualità e la precisione dell’allenamento che ci garantisce il misuratore di potenza è decisamente superiore a quella che potremmo trarre allenandoci solo a sensazioni (ossia un po’ come misurare una distanza a spanne), o anche col cardiofrequenzimetro (è già meglio: ma insomma è come usare un metro senza centimetri né milimetri), mentre col misuratore di potenza possiamo analizzare i singoli nostri step di allenamento come vedendo un oggetto con la lente di ingrandimento o misurare una distanza al millimetro. In questo link aegsporting http://www.aegsporting.com/index.php?option=com_content&task=view&id=150&Itemid=67 potete apprendere in maniera più precisa cosa significhi usare un POWERMETER in allenamento.
Gustatevi il video ufficiale di presentazione del GARMIN VECTOR
Quale misuratore di potenza scegliere? Nelle scelte di mercato quotidiane facciamo sempre mente locale sul rapporto qualità/prezzo del prodotto e quello col rapporto più conveniente è solitamente quello che richiama le nostre maggiori attenzioni. E qui dobbiamo dirvi che la qualità dei risultati espressi dai vari misuratori di potenza in commercio oggi è assolutamente equivalente. Allora merita ragionare sul prezzo: a parità di qualità dovrebbe prevalere il più conveniente. Ma si sa la scelta divertita e pratica del ciclista pedalatore molto spesso ricade nella considerazione anche di altri parametri. Abbiamo noi voce in capitolo per segnalarvi le differenze tra i vari misuratori di potenza? Non saremo probabilmente i migliori “scienziati” nello studio della materia POWERMETER, ma da utenti e possessori (sin dai primi tempi) di TUTTI i modelli di misuratori di potenza in commercio, una nostra opinione in merito c'è la siamo fatta. Ma torniamo ai parametri di scelta che ci possono far propendere per un modello di powermeter piuttosto che per un altro, analizziamo i powermeter e le varie motivazioni della scelta una per volta. Il primo, quello che ha fatto scuola: la guarnitura SRM. Il più economico, quello che oggi costa meno: la pedivella STAGES. La variante, quello che misura la potenza sul mozzo posteriore: il POWERTAP. Il replicante, quello che assomiglia più all’SRM ma costa la metà: la guarnitura QUARK o ROTOR. La scelta più versatile, pratica, di semplice istallazione: i pedali GARMIN VECTOR. I dati prodotti dai vari powermeter sono tutti attendibili? Prima di passare all’approfondimento sul GARMIN VECTOR, dobbiamo fare una premessa d’obbligo: i misuratori di potenza oggi in commercio danno dati equiparabili. Ma non staremo a farla troppo lunga su spiegazioni scientifiche lunghe e noiose. Vi mostriamo l’immagine in allegato, frutto di uno studio portato a termine da #scienceofcycling che dà testimonianza, da sola, della bontà dei paragoni. Dati assolutamente sovrapponibili in tutti i devices Perché il GARMIN VECTOR dunque sarebbe il più “pratico” e versatile da usare? Di pedali la nostra bici ha per forza bisogno. Siamo solitamente già abbastanza pratici a smontare e rimontare pedali, perché basta una chiave normalissima, non dinamometrica, né torque, ma una semplice chiave da 15 e il gioco è fatto. Ecco presto spiegato: se da una parte gli altri misuratori come SRM e STAGES per poterli installare prevedono almeno un minimo di conoscenza meccanica e soprattutto l’utilizzo di un estrattore per estrarre appunto la vecchia guarnitura (per l’SRM) e o la vecchia pedivella (STAGES) insieme ad una chiave dinamometrica per poi serrare con i giusti newton le viti di fissaggio, per quanto riguarda i pedali GARMIN basterà una comunissima chiave. Potreste obiettare allora che è ancor più semplice inserire una ruota completa con su montato il mozzo POWERTAP sulla nostra bici, senza aver bisogno di alcuna chiave. Tutto vero.  Ma provate per esempio a spostarvi in aereo in un altro continente e ponetevi il problema di portare con voi il vostro powermeter per proseguire il vostro allenamento in watt, senza però portarvi dietro tutta la bici: detto che non è pratico (perché prevede appunto un intervento “meccanico” non da tutti realizzabile) smontare e rimontare guarnitura SRM o pedivella STAGES, sarà più pratico portar via con voi una ruota intera con il POWERTAP montato o magari riporre i vostri due pedali dentro le vostre scarpe da bici e farli viaggiare molto praticamente nel vostro zainetto a mano? Mettiamo poi che desideriate noleggiare ad esempio una Mtb al posto della solita bici da strada. O mettiamo che desideriate svolgere il vostro allenamento indoor comodamente seduti su una spinbike: non pensate che rimontare i vostri pedali sui quali infilare le vostre scarpe non sia la soluzione più “leggera”, immediata, pratica?  Come funziona GARMIN VECTOR? Molto semplice il funzionamento dei pedali inventati dalla Garmin: mentre la vostra scarpa spinge, il cuore dell'asse del pedale (nel caso di Garmin si tratta del comunissimo modello "Look Keo" qui replicato su pedali di marca Exustar) legge la forza che imprimete e tramite il collegamento con un "pedal pod", ossia un tramettitore che riceve segnale dall'asse del pedale e tramite il collegamemto ANT+ lo rimanda al vostro computerino sul manubrio. Il dato che arriva al vostro computerino non è in nessun modo "mediato" da calcoli di approssimazione e ricalibrazione (come avviene per la pedivella sinistra STAGES o il mozzo posteriore POWERTAP), la trasmissione avviene subito, in prima battuta, ancor prima di quella che può arrivare dal conosciutissimo SRM che legge la torsione sul plateau. I pedali in prima battuta ricevono spinta, i pedali rimandano dati.  Il "cuore" del powermeter GARMIN VECTOR è nell'asse del pedale stesso Ha GARMIN VECOTR qualcosa di peculiare agli altri misuratori di potenza? Non ci stancheremo mai di ripetere che con a disposizione un lettore ANT+ sul manubrio (o per assurdo anche il telefonino tramite comunicazione Bluetooth) qualsiasi misuratore di potenza oggi in commercio è facilmente leggibile e installabile. Abbiamo verificato che la qualità dei dati trasmessi è assolutamente parimente attendibile. Ma c’è un elemento che tra questi caratterizza in maniera esclusiva i pedali VECTOR? Ebbene sì, questo elemento c’è ed è la possibilità di lettura istantanea della capacità di spinta delle due gambe in percentuale. Che significa quindi che se io spingo di più con la gamba sinistra piuttosto che con la destra, il mio lettore GARMIN me lo mostra in maniera immediata (e non scaricando i dati a casa al termine dell’allenamento) e mi dà quindi in tempo reale la possibilità di allenarmi a correggere la spinta disarmonica. Non è un parametro utile a tutti (perché nel 95% pedaliamo tutti in maniera simmetrica) ma per quei pochi che hanno problemi di bilanciamento di spinta, il VECTOR collabora sin da subito a risolvere il problema.  A&G SPORTING è OFFICIAL GARMIN POINT che offre assistenza sull’istallazione e nozioni di utilizzo dei pedali VECTOR GARMIN. Qui http://sites.garmin.com/vector/ potete trovare tutte le info tecniche sul VECTOR, oltre che prezzi e opzioni varie. Voi li acquistate ove meglio credete, noi ve li settiamo ed a voi non resta che divertirvi a pedalare e stabilire i vostri record! E col misuratore di potenza non si scappa: ogni dato viene registrato. Buone pedalate! Paolo Alberati |
|
Lug. '14 - Cambio MONOCORONA? Parliamone, ma... non ci piace... :-( |
|
|
|
Quella sua prima Milano-Sanremo del 1935 era già un impresa riuscire a correrla e Gino Bartali che si era fatto il viaggio da Firenze in treno per Milano, valigia e bicicletta sotto braccio, questo lo sapeva benissimo. Ma correrla svantaggiati, con un cambio rapporti inadeguato, non poteva certo permetterselo. Già che era un corridore <ciclista professionista categoria isolati> o <indipendenti> che dir si voglia, ossia senza squadra al seguito, nessuna assistenza, rifornimento, acqua lungo il percorso; già che quella era una corsa massacrante, la più lunga del panorama e prometteva addirittura pioggia; ma insomma Bartali voleva ben figurare, perché dall’esito di quella corsa, dal farsi vedere tra i migliori, avrebbe determinato il prosieguo della sua carriera e, chi sa mai, un contratto futuro con una delle poche squadre ufficiali dell’epoca: la Legnano e la Frejus in cima alla lista dei desiderata.  Gino Bartali alle prese col cambio Campagnolo Modello Corsa in salita al Tour del 1948 Raccontano allora gli osservatori dell’epoca che Bartali la sera della vigilia della Milano Sanremo viene a sapere che un certo signor Nieddu di Torino ha inventato un cambio per biciclette chiamato <Vittoria> dalle prestazioni rivoluzionarie: i corridori che desiderano montarlo sulla propria bicicletta, Nieddu li aspetta all’albergo Il Cavallino, vicino alla sede della Gazzetta dello Sport. Molti campioni mandano i loro meccanici, ma Gino dopo aver lasciato in sede della Gazzetta la borsetta col cambio dopo-corsa che gli organizzatori avrebbero portato l’indomani a Sanremo, dal signor Nieddu deve andare da solo, aspettando tutta la notte, sino alle quattro del mattino, per montare quel cambio nuovo. Così dopo aver dormito appena due ore già vestito con i panni da corridore, <e dormito neanche così bene, preso dall’emozione> racconterà poi in seguito, si reca al raduno di partenza spavaldo e intimidito allo stesso tempo.  I due rapporti di cui erano dotate le bici da corsa di inizio secolo scorso L’alternativa infatti al cambio Vittoria per anni era stata dapprima il monocorona anteriore e posteriore, a fine ottocento addirittura con lo scatto fisso sul rocchetto posteriore, ma poi comunque al massimo i Valetti, Girardengo e Binda erano riusciti a sfruttare la possibilità del doppio rapporto montato ai due lati del mozzo della ruota posteriore: uno un po’ più corto (solitamente il 14) da usare per la pianura, uno un po’ più leggero (mai però oltre il 18) per affrontare le salite. Ma pur sempre con una sola corona nell'anterire. Badate bene però, che l’unico sistema per cambiare rapporto sino ad allora era stato il fermarsi a bordo strada, sfilare dalla catena la ruota posteriore, invertirne il senso e innestare l’altro rapporto a disposizione: non una soluzione molto pratica, non una cambiata particolarmente veloce… Poi da lì, da quel cambio di Bartali nel 1935 di strada ne è passata tanta sotto i ponti e sui banchi lavoro dei migliori meccanici al mondo, tra cui gli italiani con Campagnolo hanno scritto la storia dello sport ciclistico. Fa sorridere dunque che oggi, al momento in cui la tecnologia (Giapponese con Shimano, american-taiwanese con Sram) ha messo a disposizione dei pedalatori dapprima la tripla moltiplica anteriore nelle Mountainbike, poi addirittura le 11 corone dietro con il doppio plateau davanti, oggi con cambio non più solo ad impulso meccanico, ma bensì persino elettronico, fa sorridere dicevamo che venga presentato come la scoperta del secolo il cambio XX1 per Mountainbike, ossia il cambio con monocorona sull’anteriore e 11 denti nel posteriore.  Il cambio XX1, “novità” assoluta del terzo millennio…? Di cosa si tratta dunque, dove starebbe la grandiosa novità? Gli inventori americani dicono, molti giornalisti (immaginiamo poco o proprio per niente saliti almeno una volta su una bici…) del settore riprendono nelle proprie rubriche tecniche, che il plateau monocorona anteriore assicurerebbe una cambiata più precisa, perché escludendo il deragliatore anteriore si riduce così la possibilità di sbagliare (sbagliare!?!) incroci di rapporti. Dicono poi che così, se dovessimo trovarci in condizioni di fango proibitivo, la catena non dovendo salire e scendere sul deragliatore anteriore, non soffrirebbe appunto gli intoppi provocati dal fango. Promettono altresì che la scala dei rapporti posteriori, ampliata dal “vecchio” 11 (rapporto minimo) – 36 (rapporto massimo) dei cambi finora esistiti ad un nuovissimo 10-42, riesca comunque a coprire tutte le esigenze di sviluppo metrico che il “vecchio” 2x10 rapporti garantiva a piene mani. Tenetevi forte però, perché ora vi sveliamo la soluzione super-innovativa che ci viene proposta per convincerci che l’1x11 è il futuro della trasmissione ciclistica, oltre che raccontarci che i 30 grammi in meno di questo cambio rispetto al tradizionale 2x10 farà la differenza nella prestazione. Col kit d’acquisto viene fornita la possibilità di scegliere l’alternativa tra corona anteriore da 30, 32 o 34 denti, così da accoppiarla alla scala posteriore in base a percorsi con tanta salita (il 30), medi (il 32), con molta pianura-discesa (il 34). Bene. Come fare per cambiare queste tre corone anteriori? Molto semplice, dicono: con chiave a brugola e officina meccanica al seguito. Ossia smontando il plateau precedente per rimontare quello necessario, prima di salire in bici. Esatto, avete capito bene: il ciclista del terzo millennio per poter usufruire del rapporto adeguato in base al percorso (ovviamente, se necessario, anche durante il percorso…) deve attrezzarsi proprio come facevano i Valetti, Girardengo e Binda, che tra moccoli irripetibili, perdevano corse e tempo, perché costretti ad affrontare salite e discese con rapporti vincolati, con l’unica alternativa che avevano per cambiare rapporto che era quella di fermarsi! Ora però, per essere obiettivi sino in fondo e non credendo certo di avere tutta la scienza del mondo, ritenendo al contrario schiere di tecnici con gli occhi a mandorla come dei perfetti sprovveduti, va detto che nelle prove in circuito di Mtb (XC) ove il biker si trova a far fronte a continui e repentini cambi di ritmo e pendenza, stressare ed intrecciare il meno possibile la catena è di sicuro una soluzione che può gratificare il buon funzionamento del mezzo. Se consideriamo però il 90% dell'utilizzo della Mtb, soprattutto mezzo di cicloturismo sempre più diffuso in montagna o al massimo di gare Granfondo con lunghissime salite (anche 15 chilometri continui) e discese conseguenti, siamo così sicuri che nella scala XX1 disponiamo di tutti i rapporti necessari per gambe non da campioni in salita o rapporti così lunghi da non perdere pedalate in discesa? Perhè se è vero che questa "innovazione" del mercato è nata sui campi gara del circuito professionistico delle prove XC della mountainbike, siamo (come avete notato) fortemente dubbiosi sul fatto che una soluzione così tecnica debba "per forza" essere utile a tutti, al ciclista della domenica come al granfondista senza pretese.
Immagino dunque a grandi linee abbiate capito cosa ne pensiamo dell’ultima novità del mercato, che ovviamente deve inventare sempre qualcosa di nuovo per dare impulso al settore commerciale. Questo è comprensibile. I reali vantaggi del nuovo XX1, rispetto al sistema di trasmissione “tradizionale” invece lo sono molto di meno.  Il cambio GRAN SPORT CAMPAGNOLO "cimelio" del secolo scorso... Ci sarebbe piaciuto tanto chiedere (oh se avessimo potuto farlo…) a Gino Bartali cosa ne poteva pensare della novità del terzo millennio, ossia il monocorona. Lui che per i primi anni della sua carriera aveva dovuto “combattere” col cambio praticamente inesistente del vecchissimo monocorona sia anteriore che posteriore (con opzione di inversione ruota per innestare l’altro rapporto), a fronte del cambio Campagnolo Gran Sport degli anni cinquanta per esempio, il primo cambio “moderno” azionato da due cavi e levette sulla canna obliqua. Siamo sicuri vi avrebbe risposto con la sua solita schiettezza: <gli è tutto sbagliato. Tutto da rifare>! Paolo Alberati
|
|
Lug.'14 - Analizziamo la vittoria in WATT di Vincenzo Nibali |
|
|
|
THE SHARK ATTACK - L'ATTACCO DELLO SQUALO... Tutti i ciclisti professionisti del Tour de France sono oggi dotati di misuratore di potenza, o meglio conosciuto come POWERMETER, oggetto dei desideri di tanti atleti delle categorie giovanili e di quasi tutti gli amatori. Vincenzo Nibali è dotato del misuratore di potenza SRM, di matrice tedesca e la stessa azienda che concede in dotazione agli atleti del Team Astana il famoso powermeter ha messo on line la sera stessa della vittoria della seconda tappa del Tour i dati fatti rilevare dall'SRM di Vincenzo. Su questo link http://www.srm.de/news/road-cycling/tour-de-france-stage-2/ potete trovare la pagina (in inglese) del sito SRM con i grafici da noi "decriptati", anche in versione ingrandita . A noi piace però in questa pagina analizzare la prestazione ancor più in profondità e renderla "digeribile" anche a chi non ha mai usato il misuratore di potenza SRM. Vediamo dunque sotto il grafico della tappa nella classica veste del programma di gestione dati SRM. Vincenzo ha percorso 196 chilometri (lettera D nella colonna riassuntiva in alto a sx) in 5 ore e 8 minuti (lettera T) In orizzontale il colore grigio-ombra disegna il profilo altimetrico dell'intera tappa che, nel riassunto proposto dal grafico ancora nella parte in alto a sinistra, vede un dislivello altimetrico (lettera E) di oltre 4.000 metri. In colore verde il profilo dei WATT erogati da Vincenzo che nella solita colonna di sinistra vengono riassunti alla lettera P come 221 watt medi: si tratta del calcolo "freddo" dei watt totali erogati distribuiti nel tempo di 5 ore e passa, ma mettendo in media sia i watt pedalati che il valore 0 (zero) di quando per esempio Vincenzo neanche pedalava in discesa. Quando invece sentite parlare di POTENZA NORMALIZZATA, in quel calcolo viene dato conto solo dei watt pedalati, togliendo dalla media quindi i valori zero, i valori più bassi e i picchi alti. La linea viola (lettera S) indica i picchi di velocità, che come media ha fatto registrare 38,31 km/h, mentre invece il colore blu, con la lettera C dà contezza della cadenza di Enzo, che in media è stata di 69 Rpm. Va considerato che in questo calcolo sono considerati in media anche i momenti in cui Vincenzo non ha pedalato. Per farvi rendere conto di tutti i parametri di cui andremo ora ad approfondire ulteriormente gli aspetti, va tenuto conto che oggi Vincenzo pesa non oltre i 62 chilogrammi, ipotizziamo che nel finale di tappa per via della disidratazione e consumo del glicogeno muscolare ed epatico, il suo peso non superava i 61 kg. Per farvi un esempio un atleta amatore con il peso di Vincenzo su 5 ore di pedalata fa fatica ad accumulare una media watt che raggiunga i 200 watt. Ultima nota, di non poco conto: il grafico NON annovera il valore dei battiti cardiaci. Semplicemente perché Vincenzo in gara NON ha usato il cardiofrequenzimetro...strumento che sino a qualche anno fa sembrava irrinunciabile, quasi una seconda pelle del corridore.
Ora di seguito andiamo ad analizzare però le prestazioni di singoli tratti (cruciali) di gara. Se seguite infatti l'andamento del grafico sovrastante, quello della gara intera, potete da soli verificare che i watt di Vincenzo iniziano ad impennarsi solo dopo la terza ora di gara: prima insomma i corridori hanno solo "scherzato" e Vincenzo se ne è stato tranquillo a ruota dei compagni. Ma dalla terza ora in poi è iniziata la rumba e anche ad Enzo è stato chiesto di incrementare la sua "presenza" in corsa.  L'abbiamo vista tutti, una salita immersa in un mare di folla: i ciclisti hanno percorso la Cote de Holme Moss (4 chilometri e 450 metri) in poco più di 12 minuti, coperti da Vincenzo ad una media di 400 watt tondi, con una cadenza di 85 rpm medie e una velocità di 21 km/h. Considerato che Enzo pesava in quel frangente circa 61,5 kg, ha spianato quella salita con una potenza media di 6,50 watt/kg sui 12' !
Andiamo però ora ad analizzare il vero e proprio ATTACCO DELLO SQUALO , quello portato ai meno 1.500mt dal traguardo. Quì l'adrenalina ha acceso la fantasia di Vincenzo che nel chilometro e mezzo pianeggiante che l'ha portato in maglia gialla ha viaggiato ad una velocità media di 48,8 km/h sprigionando una media di 494 watt (8,05 watt/kg!!!) per circa due minuti consecutivi (1'52"), con una cadenza media di 97 rpm. Valori appunto da fuoriclasse. Aggiungiamo noi: anche molto ben allenato dal suo amico e preparatore atletico del team Astana, il veneto Paolo Slongo che pianificando con attenzione e pazienza la crescita atletica di Vincenzo, insieme al nostro campione ha saputo lavorare settimana dopo settimana per ottenere il picco della forma proprio in concomitanza del Tour. E, agggiungiamo ancora, quel tipo di azione fulminea e velocissma l'hanno più volte simulata e allenata Paolo: sullo scooter a fare da lepre e Vincenzo dietro ad inseguire e superare il motorino lanciato ai 50km/. Provate ora, ad esempio, se avete un misuratore di potenza, a percorrere duecento chilometri, anzi 194,5 e dopo tale tragitto (con 4.000mt di dislivello) lanciatevi in uno sprint lungo millecinquecento metri e verificatene i watt medi... Rimarrete sbalorditi a verificare che difficilmente sarete riusciti a totalizzare più di 350 watt medi! Ora riprovate a farlo dopo il giusto riscaldamento, appena dieci chilometri: non riuscirete lo stesso a superare i 450 watt medi...
Fin qui i numeri. Ora invece parliamo degli aspetti prettamente tecnico-ciclistici di questo fantastico successo. Credete ancora, come sostengono alcuni, che le capacità del tecnico dell'ammiragglia Astana Giuseppe Martinelli siano tutte frutto di fortuna? Giuseppe ha vinto in quindici anni di carriera da direttore sportivo quasi una decina di corse a tappe. Giro e Tour con Pantani, poi i Giri d'Italia con Simoni, Cunego e Garzellli. Poi di nuovo il Giro lo scorso anno con NIbali e ora è al comando del Tour. Sarà solo "fortuna"...? La scuola italiana, quella di cui è giusto andare orgogliosi, è quella che lavora in silenzio ma estrema concentrazione. E che soprattutto vince. Ora veniamo al corridore e al suo tempismo: sin da bambini ti insegnano, se sei corridore ciclista, che le corse non le si vince di forza, ma con la testa prima di tutto. Ti insegnano che ci sono dei momenti topici nel cuore delle corse, momenti in cui passano treni e tu ci devi saper saltare su, senza indugi. Poi quei treni non ripassano, la porta si chiude e non puoi rientrare nella carrozza se non dopo mesi magari... Il treno preso al volo da Vincenzo è stato quello del contropiede: gruppo lanciato all'inseguimento del compagno Fulsgang, poi lo raggiungono e lui allunga ancora. Cos'ì il gruppo si scuote e riparte ad alta velocità. Poi però rallenta bruscamente e si sposta da una parte della strada. Enzo dà un'occhiata, vede chi ha accanto e si accorge che i suoi contendenti più forti sono "distratti", e meglio ancora distrutti dalla fatica della tappa e poco lucidi! Ecco il momento clou. Fausto Coppi lo chiamava <il momento della decisione>. Un giornalista dell'epoca chiese proprio a Fausto qual'era il momento più inebriante di una vittoria. Si sarebbe aspettato una risposta tipo <il bacio delle miss>, oppure < i chilometri percorsi in solitudine>. Fausto invece diede una risposta proprio da Corridore qual'era: <il momento della decisione! Quando stai per accorgerti che le tue gambe esplodono di forza, mentre quelle degli avversari le hai saggiate, viste, capite stanche e vuote. Ecco il momento della decisione è quella specie di estasi che ti prende quando decidi di scattare e non pensi più a nulla: prendi e vai! E li lasci tutti lì a guardarti, inerti. Quello è un momento di puro godimento intimo...> GRAZIE Enzino, ieri anche noi abbiamo goduto con te.
|
|
mag.'14 - PERCHE SECONDO NOI CHRIS FROOME E' TROPPO MAGRO |
|
|
|
 Un TWEET, con foto, dell'Addetto Stampa del Team Sky, alla vigilia della Liegi Bastogne Liegi ci ha fatti saltare sulla sedia: <Il nostro uomo Chris Froome sembra assolutamente tirato in vista della LBL di domenica prossima>... In foto queste due gambe, due fuscelli che ai tempi del danese Michael Rasmussen venivano chiamate <chicken legs> (gambe di pollo). Ma come, ci siamo detti, "assolutamente tirato"? Spontaneamente ci è venuto di rispondere a quel tweet, direttamente sul web, con <a noi piuttosto sembra assolutamente non in salute... Not so in wellness>. E da lì è nata una riflessione più approfondita, che ci ha portati a scrivere il pezzo che segue. <I sacrifici che ho fatto per vincere il Tour de France del 2012 non sono intenzionato assolutamente a ripeterli! Ho vissuto per un anno condividendo le mie giornate solo con la bicicletta e la fame>. Queste parole di Sir. Bradley Wiggins, vincitore del Tour de France 2012 e medaglia d’oro olimpica nella prova a cronometro di ciclismo a Londra 2012, frasi recentemente rilasciate nel corso di un’intervista pubblica, da sole potrebbero bastare per spiegare il concetto dell'eccessiva magrezza che nel ciclismo rende molto in termini di prestazione, specialmente in salita, ma rende anche la carriera sportiva limitata e la vita “sociale” impossibile. Analizziamo insieme i vari fattori di questa vicenda e gli aspetti connessi.  Il tweet del Team Sky I VANTAGGI. Nelle prove del ciclismo con grandi dislivelli e lunga resistenza i dati scientifici dimostrano che minore è la quantità di peso da trasportare in salita, specialmente se di lunga durata (e in questo comprendiamo anche la quantità di massa muscolare: più muscolo c'è più ossigeno deve essere bruciato) migliore è la resa della spinta e quindi in sostanza il rapporto potenza/peso. Per avere più chiare le idee di quanto incide il rapporto watt pro chilo nelle prestazioni e approfondire su qual è una percentuale di grasso fisiologicamente “accettabile” e misurabile tramite esame plicometrico, potete aprire questo link: http://www.aegsporting.com/index.php?option=com_content&task=view&id=113&Itemid=67 In parole povere proviamo ad immaginare la strategia tecnica di un qualsiasi team di Formula 1, dove i meccanici lavorano mesi e mesi alacremente per aumentare la resa dei cavalli nel motore dell'auto, ma allo stesso tempo i carrozzieri egli aerodinamici lavorano sulla scocca dell'auto per ridurne fino al limite possibile il peso, per esempio limando le parti in carbonio ma cercando di non ridurre la solidità strutturale del telaio: alla fine il risultato è che tanto più potenti ma allo stesso tempo leggere sono le auto, tanto più elevato è il rendimento nel rapporto cavalli pro-chilogrammo. Questo assunto però è tanto più veritiero se si tratta di percorrere strade in salita dove il rapporto potenza/peso risulta ancor più determinante. Di questo assunto sembra averne fatto un dogma la scienza applicata al ciclismo, soprattutto quella di scuola inglese, applicata in particolar modo dal Team Sky. A conti fatti, più bassa è la percentuale di grasso minori sono le scorte di peso da portare in salita e migliore è il rendimento.  Sir Bradley Wiggins anche lui <absolutely ripped> al Tour del 2012 Al raggiungimento di questo obiettivo viene votata tutta la strategia di squadra, in particolare quella di alcuni atleti, i leader, i quali per un limitato periodo di tempo sono sottoposti a regimi alimentari di strettissimo apporto calorico (sbilanciato in favore delle proteine, a discapito dei carboidrati) pur di raggiungere l'obiettivo di una percentuale di grasso che sta al di sotto sicuramente del quattro e mezzo per cento, forse anche meno. Con una grande e sostanziale differenza: in Formula 1 la FIA impone anno per anno dei limiti precisi sul peso minimo che può pesare un auto. Nel ciclismo e negli sport “a propulsione umana” in genere questo limite non è mai stato imposto e probabilmente non verrà mai imposto per non snaturare la “spontaneità” del gesto atletico e perché non è neanche facile stabilire un limite di peso convenzionale. Con un'unica eccezione: quella del rapporto peso/altezza imposto anni addietro dalla FISI (Federazione Internazionale degli Sport Invernali) agli sciatori del salto dal trampolino, drammaticamente scontratisi negli anni novanta col problema dell’anoressia e debolezza ossea: atleti sempre più leggeri, volavano ovviamente sempre più lontano. Alcuni direttamente nel vortice della depressione e a seguire della morte per eccessiva magrezza. La verità è dunque che se un'auto troppo “sottopeso” (diciamo così) rischia “al massimo” alle alte velocità di spiccare il volo e male che vada finire fuori uso (speriamo con lei non il pilota), l'atleta troppo sottopeso si ammala spesso gravemente di tutta quella serie di patologie psicologiche e fisiche che si riassumono appunto della dicitura di “disturbi alimentari”. Nell'ambito di un regime dietetico ristretto, per garantire la salvezza della massa muscolare, la razione alimentare quotidiana viene sbilanciata verso l'uso di proteine sotto ogni forma: dalle proteine in polvere come integratore a quelle animali tipo la chiara d'uovo (usata separata dal rosso d'uovo), alla carne stessa, sgrassata. L'obiettivo è così presto raggiunto: diminuisce velocemente il grasso corporeo che viene rimosso dagli adipociti (che sono le nostre cellule di stoccaggio per i tempi di “carestia”) per rimetterlo in circolo e usarlo come benzina. Dunque con l'alimentazione sbilanciata nell’uso di proteine si protegge sì il muscolo dal suo deperimento, ma la controindicazione più notevole è che così facendo l’atleta ha la sensazione di morire di fame. Al raggiungimento dello scopo infatti viene adottata anche la tecnica della allenamento a digiuno, supportando l'atleta con miscele di polveri proteiche o aminoacidi liquidi che sostengono la massa muscolare ma non certo il senso di appagamento dell'appetito, né riforniscono il cervello degli zuccheri di cui egli ha necessità di essere fornito per lavorare in maniera lucida e soddisfacente. Chris Froome impegnato nella crono del Tour 2013 GLI SVANTAGGI. Quali sono allora le controindicazioni di un eccessiva magrezza, se abbiamo visto che di fatto facilita e non poco il rendimento in salita? Del resto lo sostiene anche il professor Veronesi nel suo ultimo libro <La dieta del digiuno> (Mondadori, 2014): meno massa grassa e magra hai addosso, meno ossigeno consumi e quindi più a lungo vivi. Se dunque decliniamo questo assioma alla realtà sportiva, maggiore è la resistenza e quindi la durata dell'esercizio in soglia e fuori soglia (quindi al massimo dei giri del motore), migliore è la resa, specialmente nelle prove di lunga resistenza come le tappe di montagna dei grandi giri. Però come dicevamo, se nell'automobilismo è la Fia ad aver imposto un limite minimo di peso, nella natura umana ci ha pensato il Padreterno a determinare che quando si scende sotto la percentuale di grasso del 4 per cento (per esempio un totale di 2,6 chilgrammi di grasso in un atleta che pesa 65 chili) si va incontro a diverse disfunzioni ormonali.
Innanzitutto gli ormoni della forza nel corpo umano vengono veicolati dai grassi trigliceridi: il testosterone primo fra tutti, con quantità di grasso molto basse, tende a decrescere vertiginosamante, determinando perdita di forza muscolare. Va poi valutato l'aspetto psicologico della questione: sottoporsi a rigorossimi regimi alimentari e diete ipocaloriche manda in tilt il cervello. Tornando a tal proposito alla prima affermazione presentata in questo scritto, ossia la frase espressa qualche settimana fa da Bradley Wiggins: basta ricordare il suo giro d'Italia 2013, quando magrissimo e provato psicologicamente dopo alcune tappe fatte in difficoltà sotto l’acqua è letteralmente saltato di testa. Ora da una parte il cervello è fatto in gran parte di acqua e (diciamo così) zucchero e quando lo priviamo per lungo tempo di zuccheri e carboidrati, il nostro cervello comincia diventare insofferente irrequieto e depresso. Va poi valutato anche l'aspetto di termoregolazione che il grasso compie nel nostro corpo: un fisico troppo magro quando esposto alle intemperie e il freddo del Giro d'Italia del 2013 e la pioggia ce lo ricordano, entra in ipotermia perché è sprovvisto del “cappotto” lipidico che ricopre naturalmente la muscolatura e le membra tutte di un atleta magro, ma normopeso. Se da una parte infatti correre il Tour de France nella calura di luglio della Francia può essere addirittura un vantaggio essere troppo magri (ove infatti in questa condizione si sente meno caldo), per tutto il resto della stagione l'eccessiva magrezza espone il fisico continuamente ai rischi del freddo, senza dimenticare che una percentuale di grasso troppo bassa riduce drasticamente le nostre difese immunitarie e quindi ci si ammala con molta più facilità. Torniamo però al concetto della sofferenza psicologica: se da una parte essere molto magri, ma ciclisti professionisti pagati con stipendi a sei zeri e seguiti da una competente e attentissimo staff medico, può forse essere giustificato, prendere ad esempio un ciclista come Chris Froome e farne un icona del rendimento, mette in seria difficoltà la gestione fisica e psichica degli atleti nelle categorie giovanili e amatoriale. Vi è infatti il grave rischio che a queste categorie meno seguite la situazione sfugga di mano e la riduzione del peso corporeo a seguito di drastici regimi alimentari si trasformi in disturbi dell'alimentazione con conseguenti stati di anoressia patologica.  Bradley Wiggins nel corso della crono olimpica (vinta) di Londra 2012 LE (POSSIBILI) SOLUZIONI. La condizione di magrezza con cui sono stati vinti gli ultimi due Tour de France pongono un grande interrogativo al mondo ciclistico e sportivo tutto: è giusto e salutare essere così magri ? La risposta è stata data ed è contenuta in questo articolo: no, non è salutare. Ma è almeno giusto? Su questo concetto si potrebbe filosofeggiare molto, la verità è che in assenza di un regolamento istituzionale, è giusto e possibile che ognuno faccia come meglio crede per ottenere in maniera lecita il miglior risultato possibile. È pur vero però che questa ricerca spasmodica della magrezza ha un po' sbilanciato l'equilibrio e forse anche le buone norme di una corretta contesa sportiva. Visto che infatti essere molto magri in salita è stato dimostrato essere molto efficace nel rendimento, d’ora in poi ci si dovrebbe aspettare che tutti i contendenti alle grandi corse a tappe come Giro, Tour, Vuelta e corse con molta salita spingano il proprio fisico (per essere alla pari con gli altri contendenti) ad un’estrema magrezza, al limite dell’anoressia. Ma tutto questo non è certamente auspicabile. Questo comporterebbe infatti di avere atleti al limite della depressione, inseriti in un regime di vita monacale e maniacale, per forza di cose obbligati a concentrarsi in un solo obiettivo possibilmente in un brevissimo periodo di tempo: ecco che questa sarebbe la morte del ciclismo come sport di grande fatica di grande resistenza e fatto da un calendario che prevede la Milano Sanremo marzo e il Giro di Lombardia ottobre, con tutta una serie di impegni diluiti nel corso della stagione tutti da onorare e valorizzare. Per certi versi forzando un po’ il concetto, sembra quasi di essere tornati indietro di 20 anni quando l'irruzione del doping ematico nel mondo del ciclismo ha per un certo periodo sbilanciato la contesa, rendendo la vita facile a quegli atleti disposti a vendere l'anima al diavolo pur di ottenere risultati importanti, ma determinando di fatto con il tempo un malaugurato e inesorabile adeguamento anche da parte di tutti gli altri. Prima che sia troppo tardi dunque, sarebbe necessario stabilire un limite al dimagrimento, per salvaguardare prima di tutto la salute degli atleti ed in seconda, ma non meno importante battuta, la bellezza dell’atleta e del suo gesto atletico. Qualcosa del genere in verità lo aveva proposto il dr. Giancarlo Brocci patron del Giro Bio (il Giro d’Italia Dilettanti, esperienza sportiva ma anche umana e scientifica di altissimo valore andata in scena dal 2009 al 2012) il quale per l’edizione 2013 della corsa italiana aveva proposto di introdurre come sbarramento di accesso alla partecipazione dei ragazzi una percentuale di grasso minima sotto la quale non si poteva prendere il via. Poi come molti sanno il Giro Bio 2013 non è mai partito, ostacolato dalla difficile situazione economica del paese e più gravemente boicottato dalle alte sfere della politica dello Sport, per negligenza ed ignoranza sportiva. Come al solito però le grandi idee lanciano un sasso, covano sotto la cenere per poi maturare e comunque propongono sempre grandi spunti di riflessione che ci auguriamo, anche tramite questa nostra riflessione, vengano presto presi in considerazione per il bene dello Sport e del nostro amato ciclismo in particolare. Paolo Alberati Questo articolo è possibile leggerlo nel giornale on-line CICLOSTILE  cliccando qui: http://issuu.com/bicifi_firenze/docs/ciclostile_n.1_2014?e=11225194/7696474 |
|
|